Altro che emancipazione: la celebrazione sul mainstream a chi non fa figli è un segnale pericoloso

Su La Repubblica, rotocalco turbomondialista e voce del padronato cosmopolitico, esce in questi giorni un interessante articolo nel quale si spiega candidamente, e quasi con tono celebrativo, che i giovani non vogliono più saperne di fare figli. Si parla a tal riguardo di generazione “No Kids“. L’articolo di Repubblica fa il paio con un altro, uscito nei giorni scorsi ad esempio su Sky TG24, con cui si rendeva conto di uno studio scientifico che pretenderebbe di aver dimostrato more geometrico che la maternità genera un’accelerazione dell’invecchiamento nelle donne.

Nihil novi sub sole. Si tratta del ben noto e logoro ordine simbolico dominante di completamento dell’ordine asimmetrico della globalizzazione turbo-capitalistica, la quale globalizzazione mira sempre e comunque a decostruire la famiglia e la genitorialità, con un fine molto preciso: produrre un piano liscio di atomi concorrenziali, legati unicamente dal rapporto effimero del do ut des, vale a dire dello scambio mercantile. In effetti, questo vuole il turbocapitalismo globalizzato e sans frontières.
Non padri, madri e figli, ma consumatori unisex, sradicati e atomizzati, mere pedine, eterodirette dal consumo e dai processi mercantili su scala cosmopolitica.

Non stupisce allora che suddetti articoli celebrino apertamente e senza ambagi i processi di evaporazione della famiglia e della genitorialità, come se fossero intrinsecamente emancipativi, quando in realtà a ben vedere sono esattamente l’opposto, dato che coincidono in ultima istanza con il tramonto dell’Occidente. Una società, quella occidentale, che non vuole più generare figli è una società che si avvia al tramonto o che forse è già integralmente tramontata, per riprendere l’immagine di Oswald Spengler e del tramonto dell’Occidente.

D’altro canto, nell’Occidente liberal progressista e nichilista, si respira oggi a ogni latitudine una pesantissima e soffocante aria di morte e di idiosincrasia verso la vita in ogni sua estrinsecazione possibile. Il godimento a prospettico e fine a se stesso, senza progettualità familiare e senza eticità, per dirla con Hegel, prende oggi il sopravvento. Rispecchia perfettamente l’essenza della società reificata e merciforme.

Per dirla con Kierkegaard, il capitalismo globalizzato ci proietta tutti nella fase estetica del Don Giovanni.
Impedisce il passaggio alla superiore fase etica del padre e della madre di famiglia. Per questo, come ho avuto modo di spiegare nel mio libro “Il nuovo ordine erotico”, oggi sposarsi e mettere al mondo dei figli rappresenta un gesto autenticamente rivoluzionario e fecondamente oppositivo rispetto alla logica illogica della globalizzazione neoliberale senza frontiere.

Possiamo dirlo senza tema di smentita: se il capitalismo vuole distruggere la famiglia a beneficio di un sistema dell’atomistica concorrenziale senza legami, difendere la famiglia e tutti i legami solidi ancora esistenti rappresenta un gesto rivoluzionario.
Dobbiamo più che mai valorizzare quegli elementi del socialismo e della vita quotidiana che ancora esistono.
O, per dirla con Calvino, dobbiamo difendere nell’inferno quel che inferno non è. Questo è un compito rivoluzionario della massima importanza, che passa anche, non secondariamente, dalla piccola porta della difesa della famiglia e della genitorialità.

Oggi, difendere la famiglia significa davvero entrare in contrasto con un mondo che vuole ridurre tutto e tutti a forma merce, a consumatori apolidi e sradicati, uniti soltanto dal nesso effimero del do ut des mercantile.

Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro