Oggi è il 1 maggio, ma siamo senza diritti: non c’è nulla per cui festeggiare bensì per riflettere

Anche oggi è di nuovo il 1 maggio. Il primo maggio è ufficialmente la festa del lavoro e come sempre ormai da parecchi lustri vi è in realtà ben poco da festeggiare. Cosicché i tanti festeggiamenti disseminati per l’Italia e culminanti nel grande Concertone del primo maggio a Roma risultano inevitabilmente tragicomici.

Il primo maggio ormai è a tutti gli effetti un giorno di lutto più che una festa. E lo è soprattutto se si considerano le condizioni davvero drammatiche in cui versa il mondo del lavoro. Non è una situazione solo italiana, sia chiaro, benché in Italia la drammaticità della condizione lavorativa appaia più visibile forse che in altri Stati, almeno dell’Europa.

Il mondo del lavoro è un mondo sofferente, è un mondo in fase di emancipazione, è un mondo in cui il lavoro perde costantemente, in una sorta di emorragia permanente, diritti e conquiste. È in breve, la storia del mondo post-1989, che deve più precisamente intendersi come la vittoria globale del capitalismo e la conseguente riorganizzazione disciplinare e verticistica del mondo del lavoro. Perché di questo si tratta, benché i più continuino con ebete euforia e con stolta letizia a celebrare il 1989 come l’anno della liberazione, si è trattato di ben altro.

Se di liberazione vogliamo seguitare a parlare dobbiamo intenderla anzitutto come “liberazione del capitale” che dal 1989 è passato all’attacco. Lo ha fatto colpendo anzitutto il mondo del lavoro, emancipandolo e depredandolo di tutte quelle conquiste e quei diritti che erano l’esito delle lotte di classe, degli scontri di piazza, delle organizzazioni sindacali, di partiti della Sinistra. Una Sinistra che al tempo, lottava ancora al fianco dei lavoratori e non era diventata semplice sinistrash arcobaleno, di completamento del rapporto di forza capitalistico.

A ben vedere che vi fossero al governo le destre o le sinistre, in tutta Europa il mondo del lavoro è andato decomponendosi e perdendo uno dietro l’altro, un pezzo alla volta, diritti e conquiste fondamentali. Tutte le riforme del lavoro, basti considerare anche solo il caso italiano, sono state dagli anni ’90 ad oggi, riforme puntualmente de-emancipative.

Riforme che debbono essere definite tali, solo dal punto di vista delle classi dominanti, invece che dal punto di vista delle classi dominate. Si è trattato né più né meno che di riforme de-emancipative, dunque di controriforme, che hanno sempre più impoverito il mondo del lavoro. Sono ormai scene di ordinaria quotidianità, quelle di lavoratori che debbono svolgere le loro attività in condizioni sempre più precarie.

Abbiamo sentito di lavoratori che morivano nelle catene di montaggio delle multinazionali e-commerce e venivano coperti con un cartone, a ciò che il lavoro degli altri non si interrompesse. Abbiamo sentito di lavoratori costretti a urinare in bottiglie mentre lavoravano, per non sospendere l’attività lavorativa. Insomma, è in atto una grande regressione del mondo del lavoro sotto il cielo del turbocapitalismo vincente.

Per quel che riguarda l’Italia la situazione è particolarmente drammatica, se è vero com’è vero, che la politica in Italia di Destra come di Sinistra, elude completamente il mondo del lavoro, come se non esistesse, come se i lavoratori fossero usciti dai radar. È quella che proponiamo di chiamare la solitudine dei lavoratori, afasici, irrappresentati e senza più diritti. Quindi davvero oggi c’è ben poco da festeggiare e in compenso vi è molto di cui riflettere.

Radioattività – Lampi del Pensiero Quotidiano con Diego Fusaro