L’abbiamo rivisto, perché si ripresenta spesso. Anzi: lo ripresentano, che è ben diverso. E lo premiano, in seno all’UEFA, come se ogni volta avesse il privilegio di ricominciare da zero. Allora questa non è solamente la vicenda che riguarda un arbitro importante, indipendentemente da quanto lui meriti questa definizione: qui si tratta di politica, nel senso più deteriore del termine, ossia quella che riguarda le investiture e gli incarichi a prescindere dal merito.

Anthony Taylor non è soltanto quello che tredici mesi fa ha sbilanciato la Finale di Europa League di Budapest a vantaggio del Siviglia e complicando la vita alla Roma; è uno che in Premier League, dove in effetti era stato retrocesso in Championship, nello scorso campionato ne ha combinate più di Carlo in Francia, come si suol dire, anche se si tratta di Inghilterra ma non si può certo dire che lui arbitri all’inglese, tutto l’opposto.

Ce lo siamo ritrovato in una gara prestigiosa come quella tra Francia e Olanda e anche ieri sera ha dato la sensazione di indirizzare il match non con una serena direzione arbitrale ma in modo arbitrario, che è tutto il contrario. Così come a volte è la politica rispetto al merito: totalmente in antitesi, all’opposto.

Parecchie determinazioni della UEFA sono politiche, in questo senso, allo stato puro, non da oggi. Anzi, a parte il Paese di nascita, per i casini che continua a combinare e gli ambiti prestigiosi che gli si consente ancora di poter frequentare, Taylor ci sembra molto italiano, come tanti politici dell’attuale e delle precedenti legislature.

Prof. Paolo Marcacci