Molti di noi erano presenti nel momento in cui ebbe fine la Prima Repubblica, tra il ‘92 e il ‘93 e iniziò la Seconda Repubblica, nella primavera del 1994.
Una classe politica fu quasi interamente cancellata in favore di una nuova classe dirigente che tutti ritenevano comunque migliore, anche se meno preparata.
Tutti eravamo stanchi di figure troppo lontane da noi, stufi di discorsi spesso incomprensibili e di parole pompose e vuote. Insomma, anche quelle facce non le sopportavamo più. Venticinque anni dopo risulta comunque difficile tirare le somme di un periodo lungo in cui abbiamo conosciuto nuove difficoltà e nuovi pericoli che rendono la comparazione complicata e forse impossibile.
Possiamo però ragionare su un aspetto che riguarda la dialettica politica; cioè il modo in cui si esprimono i rappresentanti dei partiti politici. Parlano per slogan e questo a favore dei media ma l’aspetto di maggiore diversità sta negli insulti che si lanciano addosso.
Non conoscono altro modo di dialogare che attraverso l’accusa, lo scarico di responsabilità, l’offesa. Mai che una proposta politica, un atteggiamento, una frase, vengano condivisi dagli avversari politici, quello che viene dall’altro è sbagliato, doloso, infido. Accade un disastro, una catastrofe, un terremoto e chi è all’opposizione indica senza dubbio in chi governa il colpevole, senza pudore e chi governa è altrettanto rapido a sottolineare che i veri responsabili sono quelli che c’erano prima, non loro.
E’ tutta qui la politica parlata della classe dirigente della Seconda Repubblica: nelle frasi di spregio e di sottovalutazione dell’avversario, un avversario che mai come in questa epoca è divenuto un nemico, anzi il nemico e dopo il fango che ognuno getta sull’altro il risultato è che tutti risultino infangati, sporchi, inaffidabili, non credibili.
Che brutto affare che abbiamo fatto.