Italia di fumo e niente arrosto

Cambiando l’ordine degli allenatori non cambia l’Italia. Celebriamo l’ennesimo pareggio, un anno dopo la Svezia, stesso risultato zero a zero, siamo fuori dalla Final Four, cinque punti nel nostro gruppo e noi viviamo di speranze, senza portare a casa lo straccio di una vittoria. Qualcuno parlerà di grande partita ma il football prevede i tiri in porta e l’Italia ne ha effettuati due in tutta la partita.

Molto, troppo petting nel primo tempo. Ricerca delle combinazioni di gioco e non della porta, un tiro vero (Insigne) verso Rui Patricio, poi panna montata, divertimento narcisista di Verratti, Jorginho dello stesso Insigne, non proprio tre giganti ma zanzare moleste per i campioni d’Europa in gita milanese. Senza il suo fenomeno, Cristiano Ronaldo intendo, il Portogallo ha fatto difesa e timidissimo tentativo di tirare fuori la testa e il pallone, comunque ben saldo davanti al portiere e con il solito Cancelo che sul domicilio di competenza ha fatto quello che sa. La nostra difesa non ha sudato mai, in verità i soliti tifosi cialtroni, presumo rossoneri, hanno preso a fischiare Bonucci dal primo secondo di gioco, confermando che nel Paese la cultura del rispetto non esiste nemmeno quando va in campo la nazionale.

Bonucci ha risentito degli urlacci sbagliando faccende elementari, per fortuna sua e della squadra Chiellini ha celebrato la centesima presenza con una prova robusta, intervenendo su qualunque pallone vagante, così come Florenzi mai impegnato da Bruma nella prima frazione. Buono il lavoro di Barella che è centrocampista di matrice “britannica”, riuscendo a sviluppare le tre soluzioni tattiche, interdizione, impostazione (o rifinitura) e fase offensiva. Più presente e voglioso del solito, Verratti che, però, è da scarto ridotto, come ribadito nella seconda parte. Immobile ha bruciato un paio di situazioni favorevoli, preso da passione e tensione. Nessuna segnalazione nervosa di Mancini che ha capito che i suoi stavano rispondendo alle sollecitazioni anche se latitanti negli ultimi quindici metri, quelli dell’area di rigore. Una nota “estetica”: vorrei conoscere il creativo che ha disegnato le maglie azzurre con quelle bande nere sulle braccia che fanno pensare al lutto.

Va da sé che nella ripresa l’Italia ha incominciato a calare nel ritmo e nelle idee, permettendo ai portoghesi di organizzarsi e prendere in mano il gioco, inserendo Joao Mario e avanzando l’asse del proprio sistema. Quando Mancini ha fatto scaldare Lasagna (sembra la prova del cuoco!) si è capito che il predestinato sarebbe stato Ciro Ciro, nel senso di Immobile e allora debbo ritenere che tra il laziale e il cittì, ex laziale pure lui, non ci sia alcuna affinità. La crescita del Portogallo ha costretto Donnarumma a una paratona (deviazione in corner), con gli azzurri in riserva di carburante e con i centrocampisti in default, Verratti e Jorginho innanzitutto, mentre Chiesa si è reso autore di un atto violento e vigliacco su Mario Rui, graziato dall’arbitro ma non da Mancini che lo ha richiamato inserendo Berardi. Finale di stampo parrocchiale, tutti all’attacco per fare fumo e niente arrosto.

Tony Damascelli