L’identikit del killer

Capelli corti e possibilmente barbuto, alto un metro e 80 di corporatura normale, con un segno sulla fronte. La polizia francese ha diffuso foto e descrizione del 29enne Chérif Chekatt, sospettato di essere il responsabile dell’attentato di Strasburgo, chiedendo a possibili testimoni informazioni per riuscire a trovarlo. Nella nota di allerta per le ricerche del terrorista diramata anche in Italia, viene descritto come una “persona armata e pericolosa suscettibile di viaggiare a bordo di Ford Fiesta targata CX168FD”.

Il procuratore antiterrorismo ha fatto sapere che il 29enne era già stato condannato “27 volte per reati comuni”, commessi perlopiù in Francia, ma anche in Germania e Svizzera. L’uomo “era già stato in carcere più volte”, era conosciuto “dal 2015” per la sua radicalizzazione e per questo era schedato “S” e monitorato dai servizi di intelligence francesi. La schedatura “S” indica i soggetti pericolosi per la sicurezza dello Stato. L’inchiesta, ha detto ancora Remi Heitz Heitz, “è in corso. Dobbiamo localizzarlo, capire dov’è, il suo itinerario, identificare eventuali complici e coautori dell’atto”. Nel corso della perquisizione nel domicilio di Cherif sono stati trovati una granata, un fucile calibro 12, quattro coltelli, di cui due da caccia, e diverse munizioni. In Svizzera, Cherif è stato in carcere a Basilea, ha spiegato la portavoce dell’Ufficio federale di polizia, Cathy Maret. Secondo il giornale Blick, l’uomo è stato condannato nel 2013 per furto con scasso a 18 mesi, 16 dei quali scontati in carcere.

Gli abitanti del quartiere popolare di Hohberg, nel distretto di Koenigshoffen a Strasburgo, descrivono il 29enne “una specie di asociale, per lo più solitario”. Come tutti quelli che hanno avuto a che fare con lui, Omar che incontrava spesso Chérif lo vedeva come “un ragazzo discreto”. “Così discreto che era strano”, ha aggiunto Karim, 18 anni, che con l’attentatore frequentava la vicina moschea, ma si rifiuta di dire che se fosse un bravo credente. “Anche alla moschea, parlava con poche persone. Una sorta di asociale, stava soprattutto da solo”, ricorda il giovane, che accetta di parlare solo per prendere le distanze da azioni come quelle commesse da Cherif: “Se lo ha fatto in nome dell’Islam, è di un Islam traviato”. “Ha sempre fatto qualche sciocchezza”, denuncia Ahayoumen, una donna del quartiere che conosce i genitori dell’attentatore: “Una famiglia di lavoratori, brave persone, che non sapevano cosa fare con il loro figlio”. Per Ahayoumen, tuttavia, non vi è dubbio che “era un criminale al 100%”. “Ha iniziato con rapine e violenze. In seguito, ha fatto avanti e indietro con la prigione. Ma non ho mai pensato che sarebbe diventato un assassino”.