Disgustosi? Non è il caso. Certi aggettivi competono al presidente. Ma un po’ di vergogna, no? La Roma finisce malissimo questo gironcino di champions, promossa in classifica bocciata per come sta giocando e comportando. Sconfitta, umiliata dai ceki, in dieci per l’espulsione di Luca Pellegrini più sfacciato che bravo, inguardabile nei due difensori, Santon e Marcano, indisponente in Schick e alle prese con il mistero della fede: a Roma c’è un solo vero pastore argentino, si chiama Francesco, il pontefice mentre Javier è una cosa che non si può descrivere. Il calcio europeo offre queste contraddizioni: eliminato il Napoli per un gioco di numeri di gol, promossa la Roma che è un fake team, qualcosa di fasullo, un ologramma senza corpo, senza sangue. Di Francesco è un uomo solo e nemmeno al comando. Lo attende l’ultima stazione contro il Genoa ma il suo destino è segnato da tempo. Non voglio infierire ma questa squadra non ha alibi: d’accordo, gli assenti, troppi ma per essere sincero, credo che soltanto Daniele De Rossi possa restituire ordine e carattere al gruppo spolpato. Poi ci sono Dzeko, alla ricerca di se stesso, El Sharaawy, Perotti ma è tutta roba di contorno. Credo che lo stesso Monchi, osservando la prestazione di una delle sue scommesse, Marcano, abbia capito che è arrivato il momento di scendere. La Roma è Rometta e non è una battutaccia che aumenta la bile dei tifosi. La Roma non c’è, si è smarrita, gioca una partita ogni cinque (complice la piccola Inter contemporanea) poi torna nel canneto, non esiste, non promette. Serve una rivoluzione, serve una lezione. Quella di Plsen dovrebbe servire all’uomo di Boston e al suo sodale di Londra per tirare fuori la faccia e uscire dal rettilario che sta strozzando la squadra. Non è degno della storia di questo club, non è giusto per il popolo dei tifosi. Nessuna scusa, nessun alibi. Si deve fare punto e a capo, prescindendo dal Genoa. Prescindendo da tutto.
Tony Demascelli