L’esigenza di ricordare per fissare i capisaldi della nostra esistenza e quella di dimenticare per impedire alla nostra mente di implodere. Diverse, ma ugualmente necessarie al progredire dell’umanità.
Parliamo di memoria storica e del potere del ricordo. Dell’esigenza di tramandare la conoscenza, di imparare dagli errori del passato e di tentare in qualche modo di correggerli.
Parliamo del desiderio di non dimenticare qualcuno che ha fatto qualcosa di importante, della necessità di riflettere sui comportamenti opinabili e del tentativo di impedire che le mostruosità si ripetano.
Ci siamo chiesti quanto possa essere sottile la linea tra ricordare e spettacolarizzare.
Ci siamo chiesti se sia giusto ricordare alcune cose e dimenticarne altre; e abbiamo provato ad analizzare questa figura del “ricordo imposto” proprio mettendola a confronto con la sua antitesi: l’oblio.
Questo per bilanciare l’esigenza fisiologica del nostro corpo e del nostro intelletto a immagazzinare solo alcune informazioni, ed eliminarne delle altre.
Per farlo, la nostra Benedetta Intelisano ha chiesto un parere a un esperto autorevole, Alberto Giovanni Biuso, saggista e docente di Filosofia teoretica all’Università di Catania.
“La memoria storica – esordisce il filosofo – è assai più che utile. È indispensabile per far sì che il corpo sociale non viva in un presente senza radici, senza consapevolezza e senza saggezza.
Essa diventa controproducente, tuttavia, se impone allo stesso corpo sociale di non dimenticare mai, di non dimenticare nulla: un simile ordine paralizza la storia fermandola a un solo momento o a pochi e specifici eventi”.
L’umanità, in fin dei conti, vive la sua esistenza accogliendo senza obiezioni ciò che di epoca in epoca le viene trasmesso.
Ignara dell’entità delle selezioni che vengono fatte nella scelta degli eventi e certamente all’oscuro dei criteri che le accompagnano.
Ecco allora il dubbio: cosa ricordare? Cosa invece lasciare che svanisca come non fosse mai nemmeno accaduto? “Escludere alcuni eventi da queste dinamiche della memoria individuale e collettiva è molto rischioso. Porre l’accadere umano in una dimensione assoluta dalla quale bandire l’oblio – spiega il Professore – vuol dire collocare un singolo processo storico, per quanto tragico significativo e terribile, su un piano di esclusività e di separazione da ogni altro evento. La conseguenza di un simile atteggiamento non può che essere discriminante.
Di stermini infatti, la storia umana è costellata e privilegiarne alcuni come per loro natura superiori ad altri ha come inevitabile conseguenza porre i loro protagonisti su un piano di superiorità non soltanto etica ma anche ontologica”.
Il criterio, fa notare il Saggista, rimane allora quello che c’è alla base di ogni trattato di pace tra gli Stati: “dimenticare i conflitti, le loro ragioni e le loro conseguenze“.
Come si sposa dunque tutto questo con l’esigenza umana di cancellare i ricordi? “Senza l’oblio, non è possibile la tensione verso il futuro. Ricordo e oblio sono come il battito del cuore, sono sistole e diastole delle esistenze individuali e collettive: entrambe indispensabili al pulsare della vita”. La nostra fortuna sta certamente nel fatto che non spetta a noi scegliere cosa la nostra mente debba conservare e cosa no. Fatta eccezione per quei fatti e per quelle conoscenze che costituiscono la nostra memoria collettiva, è il nostro cervello a ottimizzare il tipo di informazioni da immagazzinare, seguendo il “suo” criterio di utilità rispetto al quale non possiamo stabilire dei parametri.
“La salute umana – precisa il Prof. Biuso – è in gran parte equilibrio e gioco tra la tenacia dei sentimenti già vissuti e l’apertura ad accogliere il nuovo” e del resto immaginare un mondo in cui la cernita dei nostri ricordi possa essere volontaria è piuttosto angosciante.
Non resta che provare a rispondere a un’ultima domanda: si può davvero morire per “troppi ricordi”?
“Certamente – conclude il filosofo – più di tante analisi lo mostra uno splendido racconto di Borges, dal titolo Funes el memorioso. In seguito a una caduta da cavallo questo ragazzo, Funes, non dimentica più nulla. Leggiamo nel testo che ‘riusciva a ricordare le forme delle nubi australi dell’alba del 30 aprile 1882 e poteva confrontarle, nel ricordo, con la copertina marmorizzata d’un libro che aveva visto una sola volta, o con le spume che sollevò un remo, nel Río Negro, la vigilia della battaglia di Quebracho. (…) Ricordava ogni foglia di ogni albero di ogni montagna e anche ognuna delle volte che l’aveva percepita o immaginata’. Una simile memoria è una memoria mortale, che va temperata con la forza purificatrice della dimenticanza. È necessario che il divenire rimanga un divenire e non diventi la statua di pietra di un ricordo senza salvezza”.
Nella Giornata della Memoria di uno degli orrori più recenti del genere umano, aggiunto al ricordo occorre un momento di riflessione più profondo, allo scopo unico ed essenziale di creare le condizioni irrinunciabili perché ciò non si ripeta; mai.
Fabio Duranti