Lo scrittore e finalista del Premio Strega 2018, ha parlato del suo ultimo libro L’uomo che trema, edito da Einaudi.
Il delicato e introspettivo tema della depressione viene sviscerato nelle pagine di “L’uomo che trema“, il memoir di Andrea Pomella, scrittore tra i 12 finalisti dell’edizione 20 “Premio strega”, oggi alla rubrica “Affari di Libri” con Mariagloria Fontana.
“Ho scelto questo genere perché, appunto, è la storia della mia depressione. Se avessi voluto trattare l’argomento in termini, diciamo così, canonici, con la fiction, avrei dovuto probabilmente interpellare specialisti di questa patologia e persone che ne soffrono, costruendoci intorno una storia, mentre in realtà io avevo già a disposizione un testimone privilegiato, ovvero io stesso” ha raccontato l’autore, specificando di aver “colto la palla al balzo quando, nel 2017, ho avuto il picco più alto della mia fase depressiva e, in quel caso, ho compiuto un’operazione abbastanza dilaniante, sdoppiandomi tra il me stesso che stava male ed era sotto terapia e il me stesso scrittore“.
Sulla vicinanza e sulle similitudini con lo scrittore Giuseppe Berto, deceduto nel 1978, Pomella ha affermato di aver “dovuto fare un tributo a Giuseppe Berto perché è, appunto, il precedente più immediato e clamoroso del Novecento letterario italiano, per quanto riguarda la trattazione di questo tema. Avevo l’abitudine, oltretutto, nel periodo che racconto ne L’uomo che trema, di correre e di arrivare davanti casa Berto. Questa sorta di elastico ha assunto una valenza anche dal punto di vista metaforico, perché andare da Berto e tornare ogni volta mi sembrava un dato di fatto abbastanza significativo”.
“Ho cercato, tra le innumerevoli radici che hanno dato vita alla mia depressione, una delle più resistenti è proprio il rapporto conflittuale con la figura paterna. Giuseppe Berto aveva lo stesso problema, se vogliamo, anche se declinato in maniera diversa. Berto è diventato una sorta di doppio binario, sul quale io mi sono mosso per cercare di aggiornare quello che è Il male oscuro ai giorni nostri, tanto che uno dei titoli possibili de L’uomo che trema era Il male bianco perché in quel picco depressivo, vedevo una luce, non un’oscurità. E’ un po’ gioco di paradossi” ha aggiunto poi Andrea Pomella.
“La depressione la definisco la malattia della consapevolezza o, se vogliamo, dell’iperconsapevolezza. Nel picco depressivo, l’uomo crede di essere arrivato al grado zero della verità e riesce a vedere gli affetti a lui più cari come figure geometriche semplici, svuotate di significato. In quel momento, ci si chiede se uno sguardo così lucido non ci consente di dire che siamo noi le persone sane e che sono, invece, tutti gli altri ad essere malati perché, in realtà, lo stato cosiddetto normale porta a vedere le cose attraverso una sorta di patina nebbiosa” ha spiegato lo scrittore, chiudendo il discorso.