La notte della Lazio, che spreca sei o sette occasioni, ma un gol lo fa e che gol. La notte di Simone Inzaghi, che ha sbagliato con il Chievo e ha azzeccato tutto contro il Milan. Ora Simone, seduto su questa altalena umorale che è il calcio italiano, è sereno, felice e vincente. Nei guai Gattuso, ma questa è un’altra storia.
La lunga, bella notte di Joaquin Correa, venticinque anni ad agosto, argentino della provincia di Tucuman e cresciuto in una squadra giovanile dedicata a Renato Cesarini, quello della “zona Cesarini”.
Correa segna poco, si sa. Troppo carino palla al piede per essere cattivo sotto porta. Un piccolo poeta che gioca in rima baciata. Questa volta ha fatto gol, invece. Non poteva essere una rete banale. Uno come lui non può. Ciro l’ha lanciato a sinistra. Correa, la palla e l’insuperabile Reina davanti. Che fare? Facile: il tunnel.
Commovente e memorabile l’abbraccio dei laziali al tenorino della Scala. Inzaghi l’ha raggiunto e Milinkovic Savic pure, zoppicante alla meta.
Poi Correa, stremato, è stato sostituito da Caicedo e il loggione della Scala si è alzato in piedi per il ragazzo che arriva dall’altra parte del mondo.
Roberto Renga
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