Depressione post-talent: esiste? L’analisi dello Psicologo del Rock

Provini, casting, sfide, finali... Uno su un milione ce le fa e per chi vince è molto difficile rimanere in auge. I talent sfornano a ogni edizione un solo vincitore e orde di delusi: nuova patologia dietro l'angolo? Ne abbiamo parlato con Romeo Lippi

Finisce Italia’s Got Talent e inizia The Voice: i talent sono la punta di diamante dell’ultimo decennio di show televisivi, con picchi di ascolto sempre più alti e commozione ‘webbe’ dilagante. A ogni edizione persone di tutte le età si distribuiscono su code interminabili. Casting su casting, tensioni, attese, speranze, tutto solo per seguire un sogno. Alla fine dei giochi però c’è sempre un solo vincitore e migliaia di esclusi. Possiamo parlare di una nuova patologia? Questa ondata di speranze infrante può essere considerata un fenomeno? La depressione post-talent esiste? Lo abbiamo chiesto a Lo Psicologo del Rock, il Dott. Romeo Lippi.

Andiamo con ordine…

Prima di tipizzare un problema è necessario innanzitutto capirlo e, se possibile, ridimensionarlo. Parliamo di retroscena: a superare le selezioni sono spesso candidati con certe etichette alle spalle, personaggi bizzarri o persone la cui vita è stata spezzata da tragedie e situazioni molto gravi. Si tratta di cose che secondo lo psicologo non dovrebbero affatto sorprendere: “Il mondo a cui ci si affaccia attraverso il talent – spiega – non è quello del sogno, della realizzazione o dell’opportunità. E’ semplicemente un mercato. Nel mercato quello che provi non interessa a nessuno. Non è romantico, è quello che è”. I personaggi in TV funzionano perché creano il cosiddetto emotional spike: la botta di dopamina che attiva, che emoziona, che fa crescere l’interesse del pubblico e che, inevitabilmente, fa crescere anche lo share e i soldi in tasca.

Il talent insomma va prima di tutto riconosciuto nella sua natura: una trovata di marketing in cui anche il partecipante è un prodotto

I motivi per cui in tanti si avvicinano a questi format sono molti e certamente personali, ma come spiegare così tanta affluenza? “I talent – commenta Romeo Lippisono la riposta alla domanda ‘Qual è il senso della mia esistenza?‘ Quello che vogliono le persone è il contatto umano reale, un contatto che viene sempre meno e che viene fantasticato pensando che si possa ottenere se circondati da un grande numero di persone”. L’illusione dunque è di pensare che la propria vita abbia un senso solo se a (ri)conoscerla e ad apprezzarla sia un grande pubblico di ‘fan’.

Provini, casting, sfide, finali… Uno su un milione ce le fa e per chi vince è molto difficile rimanere in auge. Ma che dire di tutti gli scartati, di tutti quelli che superano qualche prova ma poi vengono bloccati, di chi arriva a un soffio dall’ultima puntata, di tutti i finalisti, di tutti i secondi classificati, di tutti i vincitori la cui carriera si conclude con l’inizio dell’edizione successiva? Insomma:

La depressione post-talent esiste?

“Dal punto di vista clinico – chiarisce lo psicologo – certamente no. E’ una teoria azzardata. Le persone si deprimono nel momento in cui quello che hanno come idea, come senso di vita, non corrisponde a quello che ottengono. Oppure, ancora, se scoprono che è una cosa completamente diversa“.

“Certo – continua – è chiaro che quando arrivi in finale e perdi è una botta spaziale! Ma quello che può creare è più che altro una sindrome da stress acuto, come si chiama in ‘psicologhese’. Cioè: quando hai uno stress molto forte il cortisolo entra in circolo in maniera eccessiva e tu non sai come interpretare o affrontare questa cosa. Negli anni ’60 fu fatta una classifica degli eventi considerati più stressanti per le persone. Tra questi non ci sono soltanto eventi come la morte di una persona cara. Ci sono cose come il trasloco, vincere la lotteria, avere un figlio… Nel talent ci sono tante aspettative, sei visto da tante persone, quindi il rischio è più forte. Sei a un livello di stress enormemente più alto, perché sei passato dalla cameretta alla diretta nazionale senza passare da un lento processo di allenamento”.

“Il successo dipende dalla felicità, non il contrario”

E’ importante capire che ciò che conta, nel mondo della musica come in qualsiasi altra professione, è il processo e non il risultato: “De Gregori è diventato De Gregori perché era concentrato su quello che faceva – osserva Romeo Lippise ti focalizzi solo sul risultato non ti godi il percorso e sei pronto a snaturarti per arrivare a qualcosa che poi, anche quando la ottieni, è del tutto effimera”.

Come affrontare allora il dopo? Come uscire da quello stato di malessere che fa credere di aver perso l’occasione della vita?

Il consiglio de Lo Psicologo del Rock è di “trovare un senso a questa sconfitta. Perché è dimostrato che le persone reagiscono a uno stress quando trovano uno scopo di crescita.

Bisogna smettere, dunque, di credere di non essere abbastanza. Smettere di pensare in modo distruttivo, smettere di credere che ‘tanto non ce la farò mai’. Bisogna sfruttare la delusione per perseguire un continuo miglioramento delle proprie abilità, per godersi la bellezza del ‘processo’, per vedere finalmente il bello di quella distruzione che porta invece alla costruzione della propria identità.

Benedetta Intelisano