ARTISTE IN MOSTRA
Il bianco dell’opera di Maria Lai è sospeso sul rosso delle pareti della mostra “Donne. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione” alla Galleria d’Arte Moderna di Roma (24 gennaio – 13 ottobre 2019). La tradizione di una pratica storicamente legata alla figura femminile come quella del ricamo, è qui ripresa con intenzione diversa: i fili diventano percorsi che uniscono pagine disposte l’una di fianco all’altra riempendole di parole bianche. Il dispiegamento ordinato delle pagine crea, così, una scacchiera antica, costituita da molteplici sentieri percorsi da una lingua misteriosa. All’inverso di Tzinacàn, il prigioniero di Borges, che estrapola “una formula di quattordici parole” dalla moltitudine delle macchie della tigre, Maria Lai cela, in una rete di fili e d’intrecci, un segreto universale e primordiale.
L’opera resterà in mostra fino al 5 maggio. L’artista sarda, figura cardine nell’analisi storico-estetica della storia dell’arte del ‘900 italiano, è presente alla Galleria d’Arte Moderna con un lavoro appartenente ai cicli dei Libri cuciti. Tale indagine si muove dalla collaborazione dell’autrice con lo scrittore Giuseppe Dessì con il quale condivide la ripresa di antiche fiabe e scritti sardi. Oltre a Maria Lai la mostra comprende l’esposizione temporanea di opere di altre artiste che hanno influito profondamente la storia dell’arte non solo italiana ma internazionale. Gli “omaggi” comprendono: Titina Maselli (visibile dal 7 maggio al 16 giugno); Marina Abramović (dal 18 giugno al 21 luglio); Carla Accardi (dal 23 luglio al 1 settembre); e, infine Mirella Bentivoglio (3 settembre – 13 ottobre).
STRUTTURA DELLA MOSTRA: UN’ESPOSIZIONE INTERDISCIPLINARE CHE OLTREPASSA I PROPRI CONFINI
“Donne. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione“ è una mostra d’arte completa di appuntamenti: la Galleria d’Arte Moderna offre eventi dedicati ad approfondire il tema della donna (conferenze, discussioni aperte, proiezioni, concerti tematici e presentazioni). Gli incontri sono promossi da diverse Università italiane con l’intervento di storici dell’arte, critici, scrittori e psicologi. L’istituzione, inoltre, lancia il contest #donneGAM, con il quale lo spettatore ricopre un ruolo attivo: chi lo desidera, utilizzando #donneGAM, può postare fotografie che ritraggono donne del proprio vissuto familiare, tali immagini private partecipano alla mostra attraverso un monitor in un area specifica della Galleria.
OPERE IN MOSTRA
Le immagini pittoriche, scultoree, grafiche e filmiche (dovute, quest’ultime, alla collaborazione con l’Archivio dell’Istituto Luce-Cinecittà) ricostruiscono un’immagine complessa e profonda della donna attraverso una scelta espositiva che segue un criterio cronologico e tematico. L’esposizione prende il via dalla duplice visione della donna angelicata, moglie e madre, e quella di femme fatale, amante, sfacciata e impertinente. “Le vergini savie e le vergini stolte” (1890-91) di Giulio Aristide Sartorio, “La sultana”(1913) di Camillo Innocenti, “Langelo dei cristiani” (1921) di Giuseppe Carosi, e “La gravida” (1964) di Pino Pascali sono solo alcune delle opere che descrivono tale iconografia. Maria, uno dei personaggi principali di Metropolis (Fritz Lang -1927), è parimenti salvatrice e distruttrice e racchiude in sé entrambe le iconografie, qui inseparabili come due facce della stessa medaglia. Tale dicotomia è un classico della nostra cultura ricca di esempi recenti e passati: la figura della donna angelicata pone le sue radici nel ruolo di madre e moglie fedele; mentre la maga Circe, Eva, Medea e Cleopatra sono forse tra le figure più celebri di donna fatale e potente.
Addentrarsi in questa mostra significa anche ripercorrere tappe fondamentali che sanciscono l’evolversi del ruolo della donna nella società del secondo dopo guerra e sembra quasi di riconoscere in alcuni ritratti i personaggi di Alba de Cèspedes (“Nessuno torna indietro”– 1938o “Quaderno proibito” – 1958).
Nonostante il corpo femminile sia ritratto nudo o vestito, per intero o a tre quarti, rigorosamente frontale o di spalle, le fil rouge è lo sguardo femminile onnipresente in ciascun opera, com’è evidente in Dubbio (1907 – ’08) di Giacomo Balla. Attraverso le diverse tecniche (pittoriche, fotografiche e scultoree) lo sguardo diventa protagonista e dona allo spazio una forza particolare facendo quasi sentire l’osservatore osservato. “Riflesso allo specchio”(1945-’61) di Antonietta Raphael Mafai, un’opera dalla superficie ruvida, mossa e porosa, mostra come la scultura riesca a tradurre il riflesso in una soluzione spaziale tanto semplice quanto affascinante: un volto specchiato in scultura è uguale a due sculture distinte, vicine, quasi frontali che si guardano vicendevolmente in un’autoconsapevolezza profonda, intima e, in questo contesto, politica.
L’esposizione si conclude con la visione di manifesti e giornali dell’epoca che testimoniano le riunioni nelle quali si discute la presa di coscienza del ruolo della donna in una società in profondo mutamento. La grafica accompagna e sostiene il movimento delle donne riuscendo a raggiungere risultati sorprendenti nel campo della comunicazione.
Madre, figlia, sorella, amante, moglie, lavoratrice e ancora attivista, politica e rivoluzionaria, sono solo alcuni dei ruoli della donna nella storia e nell’immaginario collettivo della nostra cultura.
“Donne. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione” è una celebrazione sulle donne, pensata dalle donne (curata da Arianna Angelelli, Federica Pirani, Gloria Raimondi e Daniela Vasta) attraverso lo sguardo dell’uomo (la maggior parte degli autori sono uomini, fatta eccezione per alcune artiste fra le quali Antonietta Raphael Mafai e Vittoria Morelli). Lo sguardo dell’uomo sulla donna e quello delle donne ritratte si mischiano e ripercorrono la storia, fatta di lotte per quei diritti civili oggi raggiunti; diritti che sono tanto della donna quanto dell’uomo: la loro è una conquista che qualifica l’intero genere umano. La cura e la salvaguardia di tali diritti è costante, poiché tanto è difficile la loro conquista e la loro inclusione reale nella società tanto è facile perderli in un attimo, un giorno qualsiasi. Chissà, magari un domani non avrà più senso la parola “femminismo”, e vivremo in una società dove entrambi i generi godranno di un reale rispetto reciproco, sia nella sfera privata e familiare che in quella pubblica, lavorativa e politica. Forse in un periodo così insofferente e aggressivo come quello odierno, una mostra che ricordi l’affermazione di pari diritti civili fra i generi può guidarci per accogliere chi questi diritti fondamentali non li ha mai neanche presi in considerazione.