Ci interessa la morale, quella di fondo, quella spesso sepolta da una serie di ipocrisie e convenienze; ci interessa dunque il termine originario, non il derivato: il moralismo, che conosciamo fin troppo bene. In questo caso il secondo termine arriva a negare il primo, per il significato negativo che ha acquisito nel tempo, per l’accezione in cui viene inteso.
Non siamo anime belle, nessuno di noi lo è; né tantomeno siamo degli ingenui. Proprio per questo, visto che conosciamo bene modi, “stili” e cattive abitudini della vita da stadio italica (o italiota?), ancora prima di censurare chi finge di cadere dal pero ogni volta che, durante una partita, l’acustica degli spalti ci ricorda la nostra quota di inciviltà non evitabile, rispediamo subito al mittente gli alibi (o presunti tali) dei Giulini di turno; di tutti quelli che, quando parte del proprio pubblico si macchia di questi nauseabondi comportamenti, li giustificano riconducendoli alla provocazione da stadio.
Peccato che l’ululato se lo becchi sempre il nero, provocatore o meno, Kean o Matuidi che sia: questo vuol dire che il pretesto è sempre e comunque il colore della pelle. Non sono “cose da stadio”, sono cose razziste da stadio. O razzismo da stadio, ma pur sempre razzismo.
Chi riconduce alla mera ostilità verso l’avversario l’ululato per il nero, finge di non capire che questa manifestazione affonda le radici in cinque secoli di discriminazione. Cinque. Questo è un concetto morale; non moralistico.
Se dessimo ragione a Giulini, o minimizzassimo come ha fatto lui, torneremmo indietro a quel tempo e a quel clima in cui in certe pellicole popolari si poteva dire tranquillamente “Handicappato”, in tono dispregiativo, come fosse una battuta. Oppure a quando il nero incarnava la macchietta del ballerino col senso del ritmo che quando parlava scambiava la T con la D.
Kean ha diritto di esultare come crede e, non vi appaia un paradosso, di essere insultato come un “pezzo di” o “figlio di” bianco, o addirittura albino. Solo allora gli stadi saranno meno incivili.
Stavolta non si può che stare con Adani, in conclusione e, contestualmente, non si può che stigmatizzare ciò che ha detto Allegri, quando ha precisato che anche il suo giocatore debba “darsi una regolata”, nelle esultanze. A Cristiano Ronaldo lo aveva detto, al termine di Juventus – Atletico Madrid?
Paolo Marcacci