Il razzismo. L’ingiusta infamia che debbono subire gli italiani

In Italia viviamo nel paradosso assurdo ed ipocrita che sia il nostro Paese a doversi piegare allo straniero per non incorrere nell'accusa di razzismo. Ed allora viene da chiedersi chi è che da anni immemori produce costantemente ventate di ipocrisia e per quale ragione?

Sento parlare di razzismo con grande superficialità. Un termine attribuito con estrema leggerezza e troppo spesso a sproposito. 

Inflazionare il razzismo significa ridimensionarne la portata e favorire un declassamento del pericolo. 

Accentuare o rivendicare una diversità non è sempre razzismo. La diversità non potrà mai costituire un motivo di offesa. Siamo tutti diversi, sebbene uguali dinanzi alla legge. 

Nel caso in cui la legge discriminasse qualcuno in ragione delle sue peculiarità fisiche o di pensiero quello sarebbe razzismo. 

Contrastare qualcuno perché in ragione della propria appartenenza a gruppi di persone aderisca a costumi e/o comportamenti contrari alla morale od alla normativa penale non è razzismo se ciò risultasse da evidenze oggettive. 

Uno Stato può legittimamente coniare metodi e comportamenti da assegnare a singoli soggetti qualificandoli e gravandoli di una normativa speciale assai più repressiva non scadendo del razzismo, nonostante l’evidente disparità di trattamento. Altrimenti sarebbe razzismo applicare, ad esempio, le restrizioni del 416 bis del codice penale soltanto ad una categoria di soggetti. L’azione criminale dell’affiliato, e la sua forza distruttiva, contempla e giustifica una differenziazione tra le diverse sanzioni. 

Né potrà considerarsi razzista colui che manifesti atteggiamenti inospitali allorquando tema di essere derubato e soprattutto qualora tale preoccupazione fosse statisticamente confermata in presenza di specifici clan. 

Né potrà considerarsi razzista colui che manifesti insofferenza dinanzi ad atteggiamenti parassitari qualora tale vocazione sia reiterata o sfacciatamente pretesa dinanzi ad una perfetta abilità al lavoro. 

Né potrà considerarsi razzista colui che non si muova a compassione dinanzi all’ostentazione della prole, quando questo accada per ottenere comportamenti meno rigorosi da parte dei tutori dell’ordine anche dinanzi al palese maltrattamento dei minori, all’induzione degli stessi all’accattonaggio, all’avviamento al crimine od al solo fine di ottenere privilegi, ossia un trattamento di favore ritualmente non concesso al cittadino. Una sorta di inversione della discriminazione. Il presunto razzista sarebbe di fatto il discriminato nel momento in cui non gli fosse concessa la medesima assistenza in caso di difficoltà. 

Né si può chiedere al cittadino di tollerare l’altrui sopruso per evitare gli venga attribuita l’etichetta del razzista. 

Ricordo che l’Italia non a caso è una Repubblica fondata sul lavoro. Il che, in soldoni, significa che attraverso il lavoro il cittadino paga le tasse e quindi contribuisce a mantenere in piedi lo Stato. In altre parole la scuola, l’ospedale, … aprono se il cittadino contribuisce attraverso il lavoro altrimenti chiudono. Ecco perché la riluttanza a tollerare pretese marcatamente assistenziali, da parte di chi è nell’età e nelle condizioni del vigore, ha un suo fondamento. 

Occorre prender atto che vi sono atteggiamenti/comportamenti tollerati ad esempio in Paesi in cui sia particolarmente diffuso il credo cattolico. La circostanza che i medesimi atteggiamenti/comportamenti siano messi al bando nei Paesi ortodossi o musulmani non significa che questi ultimi debbano essere considerati razzisti al cospetto dei cattolici. Il cittadino che si reca in un Paese straniero dovrebbe accettarne le regole, i costumi, la tradizione

In Italia viviamo nel paradosso assurdo ed ipocrita che sia il nostro Paese a doversi piegare allo straniero per non incorrere nell’accusa di razzismo. 

Ed allora viene da chiedersi chi è che da anni immemori produce costantemente ventate di ipocrisia e per quale ragione?  

Molto semplice perché intorno a queste vicende girano interessi macroscopici. 

Chi gestisce tali interessi? Perché non se ne parla mai? 

Eppure mi sembra che sia emerso da note risultanze processuali che la gestione dei migranti rendesse più della droga !?! 

Molto spesso poi, si invoca il termine integrazione soltanto perché entrato nel vocabolario del politicamente corretto. 

Integrazione significa prioritariamente: 1) rispettare la legge, 2) lavoro, 3) salute, 4) istruzione. Giova precisare che vi sono delle etnie nomadi che proprio in considerazione del loro continuo movimento ricevono benefici ed abilitazioni. Il concetto di integrazione presuppone una condivisione

Mi spiegate come possa integrarsi all’interno di un plesso scolastico o di una unità lavorativa chi per vocazione è un itinerante? Non a caso il nomadismo prevede professioni essenzialmente autonome: giostrai, circensi, ecc. nonché docenti al seguito e programmi inerenti la propria lingua, cultura, storia e tradizione, certamente diversa da quella del territorio che attraversano, che peraltro gli si vorrebbe maldestramente imporre. 

Il razzismo che alcuni di noi hanno conosciuto e di cui non si è persa memoria è stato vergognosamente legittimato da apposite leggi razziali che dalla sera alla mattina hanno espropriato intere etnie dei diritti fondamentali, hanno rastrellato persone innocenti, le hanno deportate, depredate di ogni bene, e sterminate nei lager, gettate nelle cavità carsiche o semplicemente giustiziate perché considerate “nemiche del popolo”. Soprattutto nella prima metà del secolo scorso dinanzi alla caduta delle democrazie liberali sono sorti movimenti totalitari che hanno teorizzato l’asservimento alle cosiddette razze pure delle cosiddette razze inferiori, se non il loro pianificato genocidio di massa. 

In Italia nessuno è posto dalla legge in condizioni di inferiorità per ragioni razziali e sul punto la nostra Costituzione è lapidaria. E la contestazione, al di là di residuali estremismi, non affonda mai le sue radici nell’odio razziale, ma nell’ingiustizia, nella paura, nell’imposizione assurda di dover tollerare il crimine in ragione di una presunta solidarietà (!?!), nella gestione parziale della cosa pubblica che discrimina le periferie nascondendo problematiche irrisolte tra le pieghe di un latente degrado. 

L’Italiano di oggi non è razzista! Sarebbe razzista consideralo tale! Aggredirlo affibbiandogli tale etichetta per suscitargli falsi sensi di colpa al fine di trarne cinici e meschini interessi elettorali, clientelari e speculativi a vario titolo sarebbe un errore gravissimo.

In passato la Chiesa cattolica minacciava l’inferno pur di indurre il credente ad “acquistare” costose indulgenze. Il risultato fu un catastrofale scisma mai ricomposto. Ed una morale tutta da ricostruire. 

La minaccia di razzismo, blandita con i rigori della scomunica, profferita nei confronti di chiunque osi rimuovere il putrido velo di una ipocrisia apodittica (imposta dell’alto come fosse un dogma) e speculativa, volta a tutelare gestioni lucrative e clientelari, potrebbe portare, prima o poi, i cittadini, esasperati dal costante ed infingardo raggiro, ad affrancarsi dall’inganno ed a mettersi nelle mani dell’uomo forte. Prima Liberatore e poi Tutore. In poche parole, il Dittatore. 

Enrico Michetti