Alla fine, decide Conte. Il presidente del Consiglio prende in mano le redini del caso Siri e nel pomeriggio di ieri fa sapere che sarà lui a decretare sulla sua permanenza nel governo dopo averlo incontrato e averci parlato. “Incontrerò Siri, lo guarderò negli occhi e poi ovviamente ci sarà una valutazione e chiederò a lui di condividere la decisione finale” ha detto il premier, che deciderà “tenendo conto del principio di innocenza a cui come giurista sono molto sensibile”.
Prima di partire per la Cina, quindi, il presidente del Consiglio sentirà telefonicamente Siri. Poi, al suo rientro in Italia, avrà un faccia a faccia col sottosegretario. Il premier non ha nascosto tuttavia che ritiene “legittima la posizione dei Cinque stelle” sul caso, che ieri sono tornati a invocare l’allontanamento del sottosegretario. “Siri torni a fare il senatore” ha sentenziato il capo grillino, Luigi Di Maio, cui ha fatto eco anche il ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli: “Se fosse del M5S sarebbe già fuori” ha ricordato.
Ma ad animare l’ennesima giornata ad alta tensione è stato anche il botta e risposta andato in scena tra i due vicepremier. Ad accendere i toni, il leader leghista Matteo Salvini che dopo aver blindato Siri – “abbiamo piena fiducia nella magistratura” – ha avvertito: “Si sciacqui la bocca chi parlando mette in relazione Lega e mafia”. Mentre da Taranto, l’altro azionista del governo ha dimostrato di non essere intenzionato a mollare la presa sulla vicenda. “Se la Lega non c’entra niente con queste accuse che vengono fatte a Siri, dimostri la propria estraneità ai fatti, allontanando Siri dal governo – ha scandito Di Maio – perché altrimenti io comincio a preoccuparmi a vedere Salvini e la Lega difendere a spada tratta Siri”.
Poi in serata un nuovo affondo: “Sulla legalità passi indietro non ne faremo mai. Se qualcuno crede che il MoVimento 5 Stelle possa diventare come tutti gli altri partiti si sbaglia. C’è una gran bella differenza tra garantismo e, diciamola così, paraculismo. Per noi se una persona viene arrestata o indagata per corruzione deve lasciare. Se non lascia, lo accompagniamo noi fuori dalla porta. Senza aspettare i magistrati”.
La giornata è stata scandida anche dalla richiesta della Dda di Palermo di condannare a 12 anni di carcere Vito Nicastri, il ‘re dell’eolico’ coinvolto nell’inchiesta per corruzione che vede indagato Siri (Nicastri è accusato di concorso in associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni) e dalla lettera scritta dal presidente del consiglio comunale capitolino Marcello De Vito dal carcere inviata alla sindaca Virginia Raggi, al vicepresidente vicario Enrico Stefàno e ai consiglieri comunali nella quale afferma che non si dimetterà sottolineando di non essere “corrotto né corruttibile e confido nel pieno e positivo accertamento in tal senso da parte della magistratura”.