Risale a pochi giorni fa l’arresto di sei ragazzi, poco più che maggiorenni, accusati di rapina e tentato omicidio. Violenza gratuita, efferata e dine a se stessa, al solo scopo di affermare il proprio predominio sul territorio. I sei ragazzi sono accusati, dalla Polizia di Stato di Monza, di almeno dieci rapine e un tentato omicidio e di aver agito ispirandosi al videogioco “Grand Theft Auto” conosciuto anche come “GTA“.
Il gioco è già tristemente noto alla cronaca a causa dell’aggressività che lo caratterizza. I protagonisti virtuali devono infatti conquistare la città attraverso azioni violente, riprodotte in uno scenario molto simile alla realtà.
“Pensare che il videogioco sia il responsabile di quanto accaduto, non serve!” così ha commentato Giuseppe Lavenia, Presidente Associazione Di.Te. E’ stato facile per i media puntare il dito sull’uso quasi compulsivo dei videogiochi puntando il dito contro le case produttrici o i meri creatori.
Noi prima di puntare il dito abbiamo voluto sentire il parere di chi da sempre lavora con i giovani contro le dipendenze, la dottoressa Maddalena Cialdella (Psicoterapeuta CTU dei Tribunali di Roma, Presidente Associazione Aires – Centro Clinico per il trattamento del disagio in età evolutiva): “Pensare che si possano mettere in atto dei comportamenti solo per imitazione è un ragionamento semplicistico che potrebbe indurre a facili equazioni. Se così fosse non ci spiegheremmo come mai non tutti i ragazzi che vedono quel video gioco commettoano atti criminosi. In una visione complessa di alcuni fenomeni dobbiamo pensare che entrano in gioco altre variabili quali ad esempio il contesto di appartenenza, le caratteristiche di personalità, l’età, il sistema valoriale di riferimento, la storia personale e familiare. Corredare quei comportamenti di tutte queste informazioni li rende più comprensibili il che significa poter lavorare in via preventiva su quei fattori di rischio che li rendono possibili”.
Non è quindi l’uso o le ore passate giocando che inducono i giovani ad essere violenti e non in grado di staccare la realtà dal gioco, bensì il contesto storico familiare in cui crescono.
E allora cosa fare? Tanti genitori pur di non accettare un fallimento personale e rimettere in gioco il rapporto genitori figli preferiscono togliere il gioco dando la colpa alla macchina. Ma in un periodo storico come quello in cui viviamo pensiamo veramente che impedire ad un ragazzo di usare il videogioco in casa impedisca di connettersi sul tablet o sul cellulare? In realtà dovremmo tornare al dialogo, cercando di conoscere il mondo dei ragazzi, interessandoci anche alla loro vita on line, e questo lo si può fare solo attraverso l’informazione, parlando, lasciando da parte i giudizi e aprendoci al confronto.
E’ nelle esperienze familiari che si sviluppa la capacità di controllare un impulso, di modulare una risposta istintiva e di sviluppare la capacità di controllo sulle emozioni. Quindi miei cari genitori, quando vostro/nostro figlio si lamenta o si oppone alle vostre richieste armiamoci d’impegno e sopportando la dolorosa stretta al cuore facciamo un bel regalo ai nostri ragazzi donandogli un bel NO. Abitudine che sembra passata di moda. Chiediamoci il perché.
Susanna Marcellini