In tempi meno recenti era “to be or not to be”, ora sembra avere più enfasi e successo la domanda “rigore o non rigore“, perché ai più questa sembra una questione facilmente esplicabile.
In realtà è una domanda piuttosto intricata, già il dubbio essere-non essere non è riuscito a risolverlo Shakespeare, il dilemma del dischetto invece sembra essere materia di tutti, risolvibile in un clic e alla portata di chiunque.
Il concetto di discrezionalità
Invece non è così, perché il calcio non è una scienza esatta il più delle volte, e gli arbitri (udite, udite) sono generalmente individui normodotati, con tante regole molto intricate nel groppone e nonostante ciò senza un minimo di comprensione. Lungi da questa premessa il voler giustificare degli errori grossolani e incomprensibili, per carità, ciò che però andrebbe capito è che con la tv a propria disposizione si fa presto a sentenziare la carriera di un individuo che magari ha studiato a fondo per arrivare a prendere quella decisione. Invece in campo non è così, non ci sono frame o immagini perché le regole sono interpretabili o ci sarebbe un VAR per qualsiasi cosa, un occhio di falco che corregga qualsiasi azione.
Forse per questo il calcio è (e su questo siamo sicuri) uno sport così amato rispetto agli altri, ovvero perché non si può essere certi di nulla – o quasi – e ciò di cui parliamo sembra costantemente sfuggirci.
Il dubbio amletico piace, piace a tutti parlare (soprattutto di arbitri), ma talvolta bisognerebbe approfondire prima di giudicare, quantomeno per concedere ad Abisso e Fabbri il beneficio del dubbio, che si concede a chiunque.
“Non rigore perché ha toccato un’altra parte del corpo? Non è più così”
Andiamo dunque ad analizzare i casi che sono stati all’origine e dei dibattiti italiani nelle ultime quarantotto ore, quei penalty dell’Olimpico e dell’Allianz Stadium tanto contestati soprattutto dai diretti interessati.
A Radio Radio Mattino – Sport e News, Roberto Renga ha fornito le delucidazioni del caso, partendo dal rigore assegnato nella giornata di ieri alla Lazio nel match contro il Sassuolo: “L’ultima notifica non recentissima dice non è automatico ritenere che non si dia rigore soltanto perché la palla ha toccato un’altra parte del corpo, perché conta la congruità del movimento delle braccia: se sono larghe è rigore. Riepilogando, contano il movimento delle braccia, la posizione e la distanza tra la palla e l’avversario“.
Lo sbaglio di Fabbri e gli interessi dei media
Tutto questo perché, sempre recentemente, è sbarcato del regolamento il concetto del fallo colposo: “Se provochi un incidente in autostrada mentre usi il telefonino non volevi provocarlo ma sei comunque colpevole di inadempienza, visto che usavi il cellulare. Così funzionano i falli colposi e quello dato alla Lazio è un rigore colposo“.
Anche parlando della dibattutissima Juve-Milan vale tutto questo, perché il tocco di mano di Alex Sandro sembra rientrare nella spiegazione precedente, ma Roberto Renga aggiunge una considerazione: “Fabbri ha chiaramente sbagliato ma pare che tutti si siano dimenticati dell’intervento di mano ad opera di Zapata in Supercoppa sul cross di Ronaldo. Era rigore anche quello, ma a me sembra che al livello di media ognuno faccia come gli pare e tutti tirino l’acqua al proprio acquirente“.