Settimana “horribilis”, sul fronte romanista, con suggello al 30 maggio: quale simbologia, anche numerologica, migliore?
Il pezzo de “La Repubblica”, sezionato e commentato anche da uno degli autori su RadioRadio, durante la trasmissione “Lavori in Corso” nel tardo pomeriggio di ieri, è stato ovviamente letto e riletto per la portata detonante delle sue rivelazioni, molte delle quali andranno suffragate dall’esibizione di documenti e carteggi, altrimenti anche il termine “inchiesta” non sarebbe del tutto appropriato. Un aspetto dell’articolo, passato giustamente in secondo piano durante la giornata di ieri, andrebbe oggi riconsiderato a mente più fredda, mentre precisazioni e dichiarazioni di vari protagonisti si affastellano, fomentando dibattiti e interpretazioni. L’aspetto consiste nel corollario di cliché, alcuni dei quali rispolverati e tirati giù da qualche contro-soffitto dei luoghi comuni capitolini, più che altro di sponda giallorossa.
Eh sì perché si riparla dell’ “ambiente”, quest’araba fenice argomentativa che fa capoccella a intermittenza, che balugina quando bisogna dare la colpa a qualche entità non identificabile con un dirigente, con giocatori sopravvalutati e troppo pagati, con allenatori di livello mediocre. Ecco così che rispuntano le temibili radio, che quell’ambiente rendono sulfureo e ingestibile, come se in altre grandi piazze i media non facessero sentire la loro pressione; ecco i discorsi con piglio sociologico sulla curva, un mondo che avrà mille difetti ma del quale, proprio per questo, non si dovrebbe parlare a colpi di luoghi comuni, altrimenti diventa un’entità astratta anche quella; ecco addirittura ritirato fuori l’argomento del “generone romano”, che dagli anni settanta non veniva citato, peraltro con altra accezione.
Ma la ciliegina è la chiamata in causa dell’episodio del furto subito dalla madre di Zaniolo: un comunissimo – purtroppo – borseggio elevato – ad arte – a paradigma di invivibilità di un intero “ambiente” (aridaje). Con questo metro di giudizio, a Napoli da qualche anno ci sarebbe dovuta essere la fuga in massa di più di un fuoriclasse, visti gli episodi che hanno riguardato Hamšík, Milik e altri. O a Milano, a Genova e via dicendo.
Purtroppo, a parte gli alibi che vengono sempre forniti dalla ipotetica, virtuale “piazza” e che deresponsabilizzano chi dovrebbe ottimizzare i risultati di società e squadra, la cosa più avvilente della settimana romanista è consistita nel fatto che un tecnico del livello di Gian Piero Gasperini si è sentito di dire no alla Roma o, se preferite, di non accettare a sessantuno anni la possibilità di lavorare in un club metropolitano. Sarebbe tanto bello pensare che abbia rifiutato per le radio, per gli scippi in centro, per le pressioni della curva. Tanto, tanto bello e consolatorio. Peccato soltanto che tutte queste cose c’erano anche ai tempi di Capello, con Batistuta centravanti.
Paolo Marcacci