Artisti e politica: ridateci Pasolini, prendetevi Heather Parisi

Heather Parisi in diretta da Fabio Fazio omaggia i suoi “amici gay” mostrando il pugno. Fiorella Mannoia, che nel 2014 compariva sui giornali per il suo “Meglio i 5 Stelle di quella sinistra asservita al potere”, sottoscrive oggi un appello in favore della nuova sinistra e concede la sua canzone Il peso del coraggio al PD per la campagna elettorale. Lorella Cuccarini sostiene le politiche migratorie della Lega e Rita Pavone – alla quale ogni tanto scappa di condividere anche qualche fake news – retwitta Meloni e Salvini e se la prende con Greta Thunberg e con chi si schiera contro la chiusura dei porti.

Schierarsi politicamente e pubblicamente è una pratica che nel mondo dello spettacolo non è nuova e nemmeno tutta italiana. Prima ancora di diventare presidente, nel 2016, Donald Trump aveva già la sua lista di attori e rock-star firmatari di un manifesto contro di lui. Oltre un centinaio, da Julianne Moore a Bryan Cranston, ai quali si sono poi aggiunti personaggi come Meryl Streep, con il suo famoso “Abbiamo perso” ai Golden Globe, e Stevie Wonder, in ginocchio sul palco a chiedere “più attenzione ai diritti dei più deboli”.

E ancora: George Clooney in posa con Obama, Elio Germano che ritira la Palma d’oro col pugno chiuso, Sabrina Ferilli che vota Virginia Raggi… Il mondo dello spettacolo si ‘impegna’ politicamente a colpi di tweet, dichiarazioni e gesti eclatanti.

Ma come siamo passati dalle canzoni di Pasolini, Guccini, Gaber e De Gregori ai pugni di Heather Parisi in prima serata e ai tweet di Rita Pavone?

Trova le differenze

Iniziava tutto con un’idea, seguiva l’ideologia, poi il desiderio di condividerla e infine la capacità di assemblarla. Se tutto andava bene a un certo punto arrivava la fama. Il nuovo impegno politico degli artisti che amano il 2.0 invece inizia dalla fine: c’è la fama, che mette voglia di opinionismo, che si guarda intorno per cercare un’idea e che trova realizzazione nel tweet. Se tutto va bene i giornalisti hanno qualcosa di nuovo di cui parlare.

Possibile si tratti semplicemente di un adattamento al ‘nuovo’ modo di comunicare? Nuovi mezzi, nuovi bacini di utenza e nuovo modo di esprimere un’opinione?

Quando si ha una certa visibilità, esprimere una preferenza con un gesto, con 140 caratteri o con una dichiarazione volante a margine di un’intervista è solo un nuovo modo di fare il testimonial. Parlando di prodotti si chiama pubblicità, parlando di politica si chiama propaganda.

La differenza rispetto a quegli artisti che hanno scelto di canalizzare nella loro arte una posizione politica sta nel presupposto, non nel mezzo o nel messaggio. Non è, dunque, dire pubblicamente verso quale colore si propenda a porre queste personalità su piani differenti. E nemmeno quale strumento di comunicazione si scelga per farlo, se film, musica, arte o retweet. E’ ciò che supporta l’idea, il processo di maturazione di un’ideologia, la spiegazione di quella scelta a dare valore alla pubblica presa di posizione.

In fin dei conti Francesco Guccini e Rita Pavone appartengono alla stessa generazione.

L’idea era il prerequisito.

Avere qualcosa da dire si trasformava in una forma d’arte. L’opinione non era indirizzata esclusivamente a condizionare la scelta di qualcuno, ma si riservava – spesso solo a margine – l’opportunità di insinuare il dubbio e stimolare riflessione.

E’ difficile stabilire se i fan andranno a votare Salvini solo perché lo ha detto Lorella Cuccarini o se voteranno il PD solo grazie alle canzoni di Fiorella Mannoia. E, tutto sommato, il fatto che qualcuno prenda una posizione ha un che di positivo rispetto al silenzio e all’indifferenza.

Resta però un vuoto di parole, di nuova genialità, di nuovo connubio tra artisti e politica. Non solo nostalgia, direbbe Rita Pavone. O forse no…