– Mamma mamma, ho deciso, da grande voglio fare il calciatore!
– Il calciatore? Ma Daniele, perché il calciatore?
– Sono andato allo stadio con la zia e ho visto un giocatore fortissimo e tutti urlavano e cantavano il suo nome. Alcuni amici della zia hanno addirittura pianto quando ha segnato e lui è corso verso di noi, come ci volesse abbracciare. La zia dice che lo fa sempre…
– E perché ti ha colpito Daniele?
– Perché tutti gli vogliono bene e lui sembra volerne a loro. Poi la zia mi ha detto che lui è di Roma e che la Roma è la sua squadra del cuore, è una cosa bellissima. Ecco io ho deciso che voglio fare lo stesso e rendere le persone felici di quello che faccio. Pensi che posso farcela mamma?
– … Ma certo Daniele
(E mo chi glielo dice che è un sogno irrealizzabile?)
“Ci sono cose nella vita che non si possono comprare per tutto il resto c’è Mastercard”. Ecco, la dedizione di un professionista, il suo talento messo al servizio di una causa, è una di quelle cose che non si possono comprare e forse i De Rossi, i Totti, i Del Piero, i Gerrard, tanto per citarne alcuni, potrebbero essere degli ottimi testimonial per la celeberrima campagna pubblicitaria di Mastercard. E sebbene certe cose non si possano compare, a quanto pare si possono vendere, o comunque mettere da parte.
Ci sono cose nella vita che non possono essere relegate a mere logiche di business, sebbene è ovvio bisogna tenerne conto, perché siamo tutti ancora molto devoti al dio Denaro. Ma se pensiamo al mostruoso business chiamato calcio, come possiamo relegare un club calcistico, e più in generale sportivo, ad una semplice azienda che ha come fine ultimo quello del lucro?
Ultimamente le società dimenticano che le loro aziende, come gli piace definirle, fondano gran parte delle loro fonti di guadagno sulle EMOZIONI delle persone, emozioni che sempre più spesso non vengono rispettate, o quantomeno considerate.
Molte società di calcio operano come se stessero trattando un banale prodotto di consumo a grande scala, non considerando il carattere sociale e fortemente emotivo che caratterizza il mercato a cui si riferiscono. Facendo un paragone con i beni di consumo è come fare un dentifricio che però non considera l’igiene orale o un paio di scarpe che non possono essere usate per camminare.
Se vogliamo parlare in termini meramente tecnici in ottica di mercato, seguendo le logiche tanto care oggi alle società di calcio, i tifosi fanno parte di una categoria di consumatori ben definita, ben descritta dalla CCT (consumer culture theory), una prospettiva teorica nata negli anni ’80 alternativa all’analisi del consumer behaviour.
In questa prospettiva gli approcci emergenti si concentrano sull’esperienza del consumo e non sull’acquisto. Tentano di capire cosa accade quando il prodotto entra nel quotidiano del suo possessore indagando aspetti che vanno al di là della mera utilità economica e funzionale. In questo senso i prodotti diventano espressione collettiva dei consumi individuali in cui si vengono a creare legami di solidarietà reciproca e affiliazione, identificazione; legami trasversali che vanno oltre la struttura e l’estrazione sociale. In questo terreno, fioriscono le società di calcio, in cui i consumatori convergono in strutture socio-culturali aggregate: i tifosi.
Proviamo ad immaginare cosa sarebbe successo se il manager dei Queen avesse deciso che Freddy Mercury non fosse più idoneo a fare il front man della band, o Mick Jagger troppo vecchio per far parte dei Rolling Stones…paragoni assurdi? Forse no, perché musica, sport, arte, appartengono a “logiche di consumo” – passatemi il termine – che fanno leva sulle emozioni delle persone e come tali vanno rispettate, quelle del pubblico come quelle degli interpreti.
“Hanno ucciso l’Uomo Ragno” titola un altro pezzo dedicato a De Rossi sul nostro sito… Speriamo però che nessuno ucciderà mai il potere dei sogni dei bambini e che un giorno Daniele potrà diventare il capitano della sua squadra del cuore e finire la carriera lì con amore, dignità e rispetto, valori che lo sport ci ha sempre insegnato prima che le aziende di calcio, forse con la nostra complicità, lo rovinassero.
Daje Danielino!