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Hanno ucciso l’Uomo Ragno

1992: anno di profondi cambiamenti, anno dell’Europa di Maastricht, anno di Mani Pulite, anno di un Paese che cambia pelle. Il 1992 è stato anche l’anno di Hanno ucciso l’Uomo Ragno, brano che ha segnato il primo grande successo di Max Pezzali e degli 883, canzone immortale che ancora oggi, serata tra amici e chitarra in mano, cantiamo a squarciagola.

Una canzone dal significato profondo, non riducibile a semplice canzonetta. Perfetta metafora che descrive quell’Italia che perdeva i suoi sogni. Terribilmente attuale nel giorno dell’addio di De Rossi tra le lacrime dei tifosi e dei compagni di squadra, un addio non voluto ma obbligato dalle politiche dell’”azienda”. Dolorosamente coincidente con il gol e l’esultanza di Florenzi. Un gesto, quello della ragnatela, che evoca il mondo di fantasia e speranze in cui tutti cresciamo da bambini.

Quale significato si cela dietro quelle strofe dall’apparente leggerezza?
Hanno ucciso l’Uomo Ragno canta un mondo in cui hanno soppresso la nostra capacità di sognare e di essere bambini. Di credere ai supereroi, di ritenere che il bene sia il valore più importante da difendere, di vivere per rendere onore alla “maschera” che indossiamo. Chi sia stato non si sa, ma alcuni potenziali colpevoli vengono indicati. Sono i prodotti di una società sopraffatta dalla fredda razionalità del denaro, degli affari e del consumismo. Ecco allora che i colpevoli potrebbe essere la mala o la pubblicità, e il potenziale movente uno sgarro a qualche industria di caffè

Ma in questo mondo in cui non c’è spazio per la fantasia e per le emozioni, la polizia minimizza – che volete che sia– mentre i ragionieri in doppio petto pieni di stress sono disposti a tutto per difendere i propri affari – se non mi vendi mi venderai tu. La solidarietà non è più un valore… è un tutti contro tutti per difendere i propri affari.

L’obbiettivo finale?  Sostituire i nostri modelli di riferimento: non più eroi, non più simboli carichi di valori positivi che lottano per il bene. Ora le facce di Vogue sono miti per noi, attori troppo belli sono gli unici eroi, emblemi di un mercato consumista, pura estetica senza contenuti, personaggi usa e getta buoni solo per il guadagno di chi li crea e li propone al pubblico.

Le lacrime di Florenzi durante l’addio di De Rossi sono le lacrime di tutti noi tifosi, di tutti noi “bambini”. Sono le lacrime di un ragazzo che credeva ancora in un mondo in cui si poteva sognare, in cui si poteva aspirare a indossare la maschera dell’Uomo Ragno. Sono le lacrime di tutti quei ragazzi che hanno capito che è finita l’epoca dei miti, che non ci sarà più spazio per le bandiere, che non vedranno più indossare quella maglia per amore ma solo per “affare”.

Hanno ucciso l’Uomo Ragno, hanno ucciso la passione, hanno ucciso i nostri sogni.

Redazione

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