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Cultura

Il Traditore, i mali di casa nostra

Portare sul grande schermo i mali di casa nostra non è una novità. Il successo, in questi anni, di film e serie tv come “Romanzo Criminale”, “Gomorra” e “Suburra” che raccontano le vicende criminali del nostro paese sono una testimonianza importante, spettacolare, ma deve far riflettere. 

Marco Bellocchio alza il tiro e offre uno spaccato pesante e doloroso della lotta alla mafia pensata e voluta dal Pool dei giudici di Palermo negli anni ottanta.

Il Traditore” è la storia di Tommaso Buscetta, tra i primi pentiti che affidò alla legge e nel particolare al giudice Giovanni Falcone il compito di rivelare la vera essenza della mafia, anzi di Cosa Nostra come puntualizza don Masino Buscetta in uno dei primi colloqui col giudice palermitano.  

Marco Bellocchio è un autore impegnato, mai banale. Il regista piacentino non tradisce le attese e nel film presentato a Cannes, pochi giorni fa, nell’anniversario della strage di Capaci, si affida alla straordinaria interpretazione di Pierfrancesco Favino e dirige un cast credibile e sempre all’altezza con il bravissimo Luigi Lo Cascio nella parte di Totuccio Contorno altro esponente mafioso vicino a Buscetta.  

Favino interpreta con la sua maniacale fisicità la storia di un criminale, trafficante internazionale di droga e capo mafia, un uomo d’onore come si definisce lo stesso Buscetta, che decise di raccontare per vendetta (i codici e le regole della mafia erano per lui cambiate) e forse per pentimento la reale struttura gerarchica di Cosa Nostra, dei suoi vertici e di come Palermo fosse diventata la capitale internazionale del traffico di eroina. Una miniera di polvere bianca. Velenosa. 

Nel 1981 Totò Riina, capo dei corleonesi, avvia la seconda guerra di mafia contro i palermitani delle vecchie famiglie (la prima fu nel 1962). Una mattanza sanguinosa che coinvolge figli e parenti dello stesso Buscetta che in quel periodo dirigeva i suoi traffici dal Brasile dove vive con la sua terza moglie e parte dei suoi 6 figli. Le vittime sono centinaia. Uomini, donne e bambini. 

Per Bellocchio non c’è spettacolo nella violenza. Le figure mafiose sono l’essenza del male senza attenuanti. Arroganti e bugiardi. Attori in un teatro infernale, shakespeariano. Purtroppo reale. 

Buscetta, arrestato a Rio de Janeiro ed estradato in Italia, collabora con il giudice Falcone permettendo l’arresto e la condanna di centinaia d’imputati. E’ la parte centrale del film. Sembra quasi di vedere delle immagini di repertorio tanto è forte il coinvolgimento attoriale.

Il nostro teatro è il maxi processo di Palermo, riadattato dall’autore sulla scia di un perfetto Pierfrancesco Favino cui fanno eco oltre a Luigi Lo Cascio (Totuccio Contorno) attori perfetti nel ruolo come Fabrizio Ferracane (Pippo Calò), Nicola Calì (Totò Riina), Giovanni Calcagno (Tano Badalamenti), Vincenzo Pirrotta (Luciano Liggio) e Franco Russo Alesi nel ruolo del giudice Giovanni Falcone.  

E’ un film da vedere, rivedere, commentare. La storia narrata da Bellocchio è un riflesso della figura di Buscetta e la sua ombra copre gli stessi difetti che marcano da sempre l’Italia.

Uno Stato che osserva, assente e una politica collegata al crimine. Una condanna che per il momento sembra inflitta a tutti noi. 

Alfonso Federici

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