La Fenice, animale leggendario in grado di rinascere dalle sue ceneri dopo la morte. Simbolo di resistenza e di resilienza, della capacità di rialzarsi dopo le sconfitte. Perfetta metafora per raccontare il ritorno alla gloria della sindaca Virginia Raggi dopo i fatti di Casal Bruciato.
Ogni giorno gli italiani si svegliano faticosamente sapendo che li aspetterà una difficile giornata di lavoro, di discussioni con il capo, di noiosissimi impegni, di liti con i figli, di bollette da pagare, di corse contro il traffico. Solo una cosa probabilmente gli fornisce una spinta in più per alzarsi dal letto: pensare che c’è chi sta peggio… c’è chi deve fare il sindaco di Roma.
Non si può negare che la situazione della Capitale sia catastrofica. Buche degne di The Day After Tomorrow, scale mobile irreparabili anche dalla NASA, montagne di rifiuti ormai perfette per il free climbing, critiche e insulti da ogni romano, critiche e insulti su ogni giornale, critiche e insulti in ogni trasmissione… solo critiche e insulti.
Ma con Casal Bruciato è cambiato qualcosa, la Raggi è passata dall’essere bersaglio perfetto, a sindaca degna di applausi in ogni salotto televisivo. Addirittura La Repubblica, il suo più acerrimo nemico, le ha dedicato una prima pagina lusingatrice e non denigratoria: La Raggi sfida i fascisti in difesa della legalità.
Virginia Raggi ha mostrato l’audacia di un gesto che in pochi avrebbero fatto, un gesto che sembra lontanissimo dalle dinamiche politiche dell’attuale classe dirigente, sempre impegnata in insignificanti vicende di Palazzo.
La sindaca ha avuto il coraggio di scendere in strada e di mettere la faccia su una questione altamente politica. Il coraggio di prendere una posizione senza curarsi di quello che probabilmente sarebbe stato più conveniente fare. Un gesto di una grande forza perché va contro il più forte. Si è scelto di prendere le parti del soggetto più debole, quello che non porta voti, quello che non è amato dal pubblico, quello che ogni sondaggio suggerisce di attaccare.
Per la prima volta dopo tanto tempo è stato fatto un gesto che va contro il bon tondel gioco del consenso.
Così, mentre Di Maio era impegnato a sventolare lo scalpo di Siri in un ridicolo teatrino, la Raggi ha fatto quello da cui lui si è tenuto ben lontano: prendere una posizione politica su una situazione reale e concreta. I consiglieri del vicepremier avranno probabilmente sconsigliato di andare contro CasaPound in difesa dei rom, una mossa sfavorevole alle percentuali di voto in vista delle elezioni europee.
La differenza sta quindi nell’aver visto un politico – ci chiediamo ancora dove sia Zingaretti, probabilmente anche i suoi sondaggisti gli avranno suggerito di tenersi lontano dalla questione – che dopo tanto tempo è sceso in strada per prendere le parti del più debole e contro chi oggi raccoglie consenso.
Viviamo in un paese in cui il proletariato è stato convinto che la causa dei propri mali sia il sottoproletariato. Chi sta male invece di accusare chi è sopra di lui, i poteri politici ed economici che hanno in mano le sorti del paese, se la prende con chi sta peggio. Per un politico è più facile accusare le categorie indifese piuttosto che il suo operato. È facile scaricare le colpe di un paese in declino su chi non ha diritto di voto.
È facile indossare la divisa dei vigili del fuoco… se non si va a spegnere nessun incendio.
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