Stavolta non voglio parlare dell’oggi, di politica nazionale e internazionale, delle mode, dei costumi, del bello e del meno bello. Non voglio nemmeno parlare di Roma, la povera Roma di oggi, bensì dell’altra Roma, quella eterna, quella che ci commuove sempre, quella che ci fa sentire migliori, sebbene indegni, lontani e probabilmente apocrifi, suoi eredi:
Il fatto è che Roma, per ben tre volte nella storia dell’umanità, ha rappresentato un ideale altrove irraggiungibile, un esempio e una scuola per tutto il genere umano.
Roma è stata ai suoi inizi un miracolo e un unicum. Un miracolo perché ha visto un villaggio di pastori e agricoltori diventare poco a poco ma irresistibilmente non solo il centro di un dominio mondiale ma un faro di civiltà e di novità senza pari. Un faro di civiltà dove, almeno teoricamente, qualsiasi cittadino romano, povero o ricco, plebeo o nobile che fosse, era uguale davanti alla legge, una legge destinata far scuola al mondo intero attraverso i suoi codici.
E questo miracolo è avvenuto grazie alla unicità di Roma. Vedete altri centri di civiltà del Mondo antico si basavano sull’esclusione degli altri. Ad Atene contavano solo i cittadini e chi non lo era per diritto di nascita era quasi impossibile che riuscisse a divenirlo: Lisia, il più grande avvocato della letteratura greca era un meteco (ciò un coabitante) non un cittadino, perché figlio di un meteco e, malgrado la sua fama, rimase sempre tale, non fu mai cittadino né lo furono i suoi figli. Le cose andavano così anche a Sparta l’eroica, a Tebe, a Corinto.
A Roma invece, fin dagli inizi, essere romani rappresentava un atto di volontà, di appartenenza: desiderata e ottenuta.
Già ai tempi mitici (ma nemmeno tanto, come testimoniano gli scavi di Andrea Carandini) la città nasce dall’unione di tre popoli: latini, sabini, etruschi. E fu sempre così. Le aristocrazie delle città vicine diventavano romane, lo diventavano gli alleati e poi anche i vinti. La cittadinanza fu il mezzo con cui Roma dominò prima il Lazio, poi l’Italia e poi tutto il resto. Ed essere civis romanus era uno stato impareggiabile.
San Paolo ebreo, greco ma soprattutto cittadino romano, quando fu processato dal più alto magistrato di Siria pretese di esser giudicato dall’imperatore in persona proprio in quanto civis. <A Cesare hai chiamato, a Cesare andrai>, fu costretto a rispondergli il quasi onnipotente Procuratore di Roma.
Certo l’assimilazione non fu sempre una cosa facile, già Orazio (peraltro anche lui progenie di cittadino romano recente) lamentava che le acque dell’Oronte (fiume di Siria) si rovesciassero nel Tevere. Ma le cose non cambiarono. Anzi, fu nel 212 dopo Cristo, quando la Constitutio Antoniniana dell’imperatore Caracalla diede la cittadinanza all’intero mondo romano, dalla Scozia al Golfo Persico dall’Atlantico al Mar Nero che il processo di assimilazione divenne generale.
Roma: in una città il riassunto di un mondo.
Una vocazione universale che fu continuata dalla Chiesa cattolica (che appunto vuol dire universale). I Primi Papi venivano da tutto il mondo romano, Grecia, Asia, Africa. E fino alla Riforma protestante Roma fu la casa spirituale dell’intero mondo occidentale.
Come se non bastasse Roma fu il centro del mondo, un centro aperto a tutti i meritevoli ancora una terza volta. Fu nel Rinascimento quando insieme a Firenze, a Venezia, a Milano, ma raccogliendo il meglio da tutta Italia, Roma pose le basi per una nuova arte, per una nuova cultura, per la rinascita dell’Antico, illuminando il mondo. Questa volta non con la forza delle armi o della fede, ma con la luce vivida della cultura e dell’arte.
Ecco, è a questa Roma che amiamo pensare, è con queste tre Rome che amiamo confrontarci, è di questa Urbe che ci sentiamo cittadini.
È di questa Città che ognuno di voi dovrebbe sentirsi cittadino.