Orgoglio e pregiudizio

Antonio Conte all’Inter e José Mourinho alla Juventus.
Se foste dotati di una macchina del tempo e provaste a dire questa frase nel 2008, poi dovreste fare un impresa degna del famoso film prodotto da Spielberg per restare vivi.
Ma citazioni cinefile a parte, una simile ipotesi lascerebbe parecchio perplessi anche nel 2019, tempo in cui – anche se lontanamente – questo scenario è ipotizzabile.

Molto più realistico il matrimonio tra Antonio Conte e i nerazzurri, anche se potrebbe opporsi la ex squadra del tecnico Salentino, ancora ferita dal brusco addio del 2015.
La Juventus potrebbe ingaggiarlo di nuovo e poi vorrebbe dire rivoluzione: tecnica ma anche dell’organico.
Più probabile però l’unione che in tempi non sospetti sarebbe stata inverosimile, quasi fantascientifica, tra Conte e la rivale numero uno della Juventus.
Quella verso la quale, per intenderci, il Conte giocatore inveiva con vigore, da buon simbolo di juventinità.

Poi c’è l’ipotesi, molto meno fattibile, ma di quelle che solo a sentirle fanno notizia, di un Mourinho con sul petto la “J” stilizzata della squadra campione d’Italia.
Un tecnico come lui potrebbe essere l’ideale per raccogliere l’eredità contestata, ma comunque pesante di Massimiliano Allegri. Peccato che lo Special One soffra di una malattia che alla Continassa temono come la peste: è… troppo interista.
Deve esser stato perplesso Jorge Mendes appena il presidente Agnelli in persona gli ha fornito la diagnosi, forse elaborata più per una questione di ordine pubblico bianconero, che per un fatto tecnico o perché il profilo non lo convinca.
Lo si evince dagli ormai consultatissimi social, nei quali i tifosi bianconeri fanno capire di non gradire, per usare un eufemismo, una possibilità del genere. “Neanche a portare le borracce” si legge sotto una pagina di fan.

Probabilmente essendo lo stesso lettore di quest’articolo un tifoso, non vede nulla di anormale in un simile ragionamento.
Provate però per un attimo a lasciare da parte la fede calcistica, calandovi nella parte di un ateo del calcio, qualcuno che sappia come si gioca a malapena e non conosca nulla della sua storia. Non trovereste in questo caso alquanto strano che una squadra come l’Inter o un club come la Juventus possano dire di no a uno degli allenatori migliori al mondo? Non sembrerebbe a quel punto un semplice fatto d’orgoglio e di pregiudizio?
Eppure basta un’annata buona, un solo trionfo per spazzare via odio e rancori. Lo si è visto con Allegri, nella storia recente.

In quale delle due situazioni, dunque , lo strano, passionale tifoso avrebbe ragione?
Probabilmente in entrambe, basta mettere la duplice posizione sotto la giusta luce.
Una patetica (che crea pathos, che segue le emozioni), che predilige i colori della maglia senza tener troppo conto del risultato.
L’altra pragmatica, che guarda a ciò che è possibile realizzare in campo, fredda e razionale e schiava del risultato, nella quale l’allenatore è un professionista e non un leader di interismo o di juventinità.
Di rado si trovano persone favorevoli a quest’ultimo tipo di ragionamento, nonostante gli allenatori-bandiera siano sempre più rari in questo sport.
Possiamo dedurre che ci troviamo in un momento storico in cui è sempre più importante il lato professionistico del coach, mentre il pubblico predilige una figura che dia più importanza al cuore dei propri supporter, che ai piedi dei propri giocatori.
Talvolta si enuncia una squadra per metterla sotto una cattiva luce (vedi Giuseppe Marotta e Antonio Conte stesso) per poi firmarci un accordo il giorno dopo, ma dal pubblico questa freddezza razionale non si può pretendere sempre, come dai dirigenti non si può pretendere che agiscano con orgoglio e pregiudizio.

Alessio De Paolis