L’addio a Daniele De Rossi, diciotto anni della nostra vita, con un tweet. Come lasciare la moglie dicendole di andare a prendere le sigarette: ciao cara, torno subito. E chi si visto, si è visto. Ma non sto a sindacare sul modo: viviamo una vita fatta di messaggi scritti e orali, comandano i social e la Roma, che si sente giovane e giovanile, si è adeguata.
Che Daniele avrebbe preferito una strada cosparsa di rose giallorosse è un altro discorso. Io so soltanto che, leggendo, sono rimasto di ghiaccio. E mi sono saltati addosso, graffiandomi, i ricordi. Tre tweet, tanto per restare in tema.
Mi portarono a vedere la Primavera, dove giocava Aquilani. Una partita contro il Cagliari. Scrissi: elegante Aquilani, ma mi prenderei quel De Rossi, duro il giusto e ago della bussola. Non ci voleva molto e infatti non me ne vanto.
Il primo gol in Nazionale, i complimenti al padre. Poi Germania 2006, la squalifica e Daniele ad allenarsi ai rigori. Un presentimento. Finale con la Francia, lui al dischetto. Avesse sbagliato, apriti cielo. Coraggiosamente mi girai. Daniele segnò come aveva sempre fatto in allenamento.
La frizione con quel direttore che voleva criticassi la sua vita privata. Lo feci, comunque, ma difendendone le scelte, come mi sembrava giusto.
Mi mancherà? Veda lei.
Roberto Renga
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