Brutta storia. Ma prevista. Dopo la nobiltà, la miseria.
Non c’entra Totò ma è la commedia grottesca del Milan, davvero un povero diavolo. Messo all’indice dall’Uefa, fuori dal torneo minore, agguantato per disperazione da Gattuso che fu ma evitato da Giampaolo che è.
Il Milan di Berlusconi è una memoria antica, oggi ne pagano errori e omissioni i nuovi padroni americani. Vergogna sarebbe il sostantivo giusto, punire colpevoli di tale epilogo miserabile sarebbe il minimo ma escluso che eventuali inchieste o indagini arrivino a tanto. Meglio tenersi a distanza dai poteri così forti o sedicenti tali.
Però una riflessione va fatta: l’Uefa ha avuto almeno il coraggio di fare quello che le nostre istituzioni calcistiche non hanno osato nemmeno pensare e dunque fare. Mettere fuori dai giochi chi non ha i conti in ordine, cioè che ha barato o sta al tavolo pur non avendo i soldi per pagare pendenze, sospesi e more.
Il Milan è un ex grande albergo che conserva l’insegna ma è pieno di ragnatele, ha le vetrate sporche e alcune rotte, ha smarrito la servitù che se ne è andata altrove, qualcuno è tornato per amor di Patria, il cibo è modesto, i prezzi alti e allora la clientele ha preferito trasferirsi verso nuovi centri di ristoro.
Tra cinesi e americani ormai non c’è più limite all’imprevedibile, la speculazione ha avvelenato un ambiente che già respirava gas tossico con gli ultimi conti dell’era berlusconiana. Ora si tenta di sventolare le bandiere di Boban e Maldini, come se il popolo fosse stupido e incosciente. Servono dollari, euro, monete pesanti per rifare l’edificio, non basta aver cambiato il portierato e gli amministratori condominiali (tra l’altro è passata inosservata la transazione tra il club e Fassone che era stato licenziato in tronco ma ha visto ripagata le proprie richieste…).
L’Europa League si apre alla Roma in via diretta e al Torino di Cairo che può affacciarsi nel continente anche con il suo dominio di comunicazione cartaceo e televisivo. Il Milan fuori dalle coppe pensa di essere mattatore di serie A. Non so più che dire. Forse è meglio tacere.