L’arte e la crisi della politica

"La capacità di analisi, di studio, di elaborazione hanno lasciato il posto ai sondaggi che dettano l'agenda politica".

All’inizio del Novecento nacquero i grandi partiti che riassumevano e perimetravano le grandi ideologie.

Alle ideologie si era giunti attraverso un processo filosofico, logico, armonico che traeva i suoi contenuti da approfondite analisi riguardanti la realtà sociale economica e quindi politico istituzionale.

La filosofia offriva soprattutto diversi metodi di indagine e di ricerca, sperimentati nei secoli, oltre chiaramente a partorire esempi che fossero in grado di unire al metodo anche i risultati della sua applicazione, ossia i contenuti.

Il prontuario elaborato dalla filosofia era vastissimo ed in grado di proporre una molteplicità di metodi e soluzioni, che con l’ausilio di altre branche della scienza, prima tra tutte la matematica, riuscivano ad offrire puntualità e quantità al pensiero politico.

I partiti si radicarono attorno a delle idee, frutto di percorsi profondi, sperimentazioni ed adattamenti. Nacquero dalla volontà di geniali pensatori che si sforzarono di transitare dal terreno dell’astrattezza, della mera speculazione filosofica, all’ossessione del veder realizzate e quindi, possibili le loro teorie.

Il mondo pertanto, all’inizio del 900′, più che in altri periodi, sentì l’esigenza di tradurre il pensiero in azione attraverso la costituzione di organismi stabili e ben definiti di elaborazione dell’idea e di traduzione della stessa in beneficio per la collettività.

Il politico si allontanava sempre di più dal filosofo ed assumeva un proprio ruolo, funzioni distinte e definite.

Il filosofo pensa. Guarda dall’alto, compara, confuta, affina il suo pensiero, ed ogni accadimento può essere una verifica della fondatezza delle proprie tesi e quindi lo analizza a cerca di offrirne una spiegazione. Ma al centro resta sempre il pensiero.

Il politico invece abbraccia un pensiero che sente proprio, ma poi lo traduce in una visione organica complessiva della realtà e ne traccia le sue linee applicative, programma i tempi delle proprie azioni, pianifica e progetta in ossequio ad una visione.

La visione rappresenta per il politico ciò che il pensiero rappresenta per il filosofo.

Ma cos’è la visione?

La visione e’ un sogno.

E’ come il politico dovrebbe vedere il mondo al termine della sua azione di governo. La visione e’ la materializzazione anticipata del sogno. È quello che si realizzerà se tutto andrà bene.

Ed allora cos’è la politica?

È ciò che parte da una visione.

E chi è il politico?

Colui che ha una visione e che sa prevedere un percorso politico amministrativo tecnico e contabile per realizzarla.

Ed il partito quindi, cosa è e cosa fa?

Il partito è il contenitore di una visione complessiva ed in continuità dei propri aderenti. Ed ha il compito di formare e selezionare una classe dirigente in grado di promuovere tra la gente la propria visione del mondo ed apprestare ogni strumento ed ogni azione per poterla realizzare.

Il politico pertanto, a fronte di una visione, cerca il consenso tra la gente, proiettandole il sogno.

La gente se si appassiona al sogno, attraverso il consenso, gli conferisce il potere per poterlo realizzare.

Alla fine, il filosofo mediante il pensiero teorizza, il politico mediante il potere governa.

Entrambi pensano, ma mentre il primo analizza, adatta ed affina le proprie tesi, continuando a pensare. Il secondo agisce mettendo in opera, attraverso il potere, il proprio pensiero.

Dal 900 ad oggi tanto e’ cambiato, come è naturale che fosse.

Primo, perché la visione pian piano si realizza, in tutto o in parte gli obiettivi si raggiungono, e pertanto, c’è bisogno di una visione ulteriore.

Secondo, perché la formazione e la selezione della classe dirigente dovrebbe essere continua e basata esclusivamente sull’aspetto operativo della visione, ossia sul progetto.

Terzo, perché il consenso dovrebbe sempre nascere attorno alla passione per la realizzazione di un sogno condiviso, senza distorsioni clientelari, lobbistiche o mafiose.

Nel tempo: alcuni contenuti sono stati superati, nonostante i nostalgici interessati continuino a chiedere consensi recitando sempre il medesimo spartito.

I liberi pensatori sono quasi spariti lasciando il posto a tattici e strateghi interessati unicamente a mantenere il proprio status ed a governare per i propri interessi (perlopiù di auto conservazione).

La visione e’ stata sostituita dalla suggestione e dall’improvvisazione. Le scuole di partito sono sparite, come del resto i loro frequentatori. Quindi il reclutamento avviene in maniera clientelare o commerciale od attraverso piattaforme telematiche.

Il nuovo programma ha spesso trasformato i benefici collettivi di una proficua organizzazione dello Stato, in benefici personali a fronte di progetti ad personam perseguiti attraverso gli strumenti pubblici.

Sparita la visione, estinta ogni forma di selezione e formazione, snaturata la voce progettuale, il consenso da momento terminale di un percorso prima ideale e poi pratico, si è posto dunque come punto di partenza.

Il politico dunque, non pensa più, ancor meno sogna, ma si è trasformato in un oracolo che interpreta il consenso e si lascia trasportare inerte dalle sue schizzofreniche fluttuazioni.

Tramontata l’era degli statisti, che prevedevano e determinavano gli eventi, i leader di partito, che di norma ormai si allineano agli eventi, li cavalcano, per selezione darwiniana hanno stimolato esagerate doti di equilibrismo, abilità singolare di chi sia costretto a muoversi tra il tutto ed il contrario di tutto.

La capacità di analisi, di studio, di elaborazione hanno lasciato il posto ai sondaggi che dettano l’agenda politica.

La classe dirigente peraltro, sempre più leggera e volatile si sta avviando verso una sostanziale irrilevanza e quindi, inutilità.

Dopotutto le macchine possono già confezionare i sondaggi ed allinearvisi con maggior efficenza rispetto agli umani.

Ci troviamo quindi, dinanzi ad un Paese pronto a farsi guidare dalle macchine perché l’uomo ha ormai smesso di pensare e di sognare?   

Molto rischioso perché se il filosofo non teorizza più la migliore forma di governo ed il politico non ha più una visione da realizzare, in una sempre più umorale anarchia, a guidare le macchine non ci sarà più chi pensa e chi sogna, ma soltanto chi coltiverà biechi interessi personali.

Enrico Michetti

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