Immigrazione: salvatori o schiavisti?

Un grande avversario dell’immigrazione fu Karl Marx quando si avvide che l’aristocrazia industriale inglese piuttosto che pagare salari dignitosi agli operai impegnava parte delle proprie risorse per favorire una massiccia invasione di personale irlandese. L’Irlanda in quel periodo viveva una crisi economica pazzesca tre quarti della propria popolazione rischiava di morire di fame, ed era quindi, disposta ad accettare salari minimi pur di lavorare. 

Karl Marx capì subito che l’ingresso massivo dei “poveracci” irlandesi avrebbe vanificato ogni forma di lotta e di rivendicazione della classe operaia inglese che se non avesse continuato ad accettare condizioni miserevoli sarebbe stata prontamente sostituita nelle fabbriche dal meno zelante proletariato irlandese. 

La sinistra italiana in genere ed in particolare modo il partito comunista italiano furono sempre contrari all’immigrazione che dal sud portava la gente al nord. 

Ritenevano che il sud si sarebbe impoverito della parte migliore, quella che aveva la forza di reagire alla miseria e di affrontare con quattro povere masserizie un lungo viaggio in cerca di fortuna, che significava  lavoro. 

Quella che partiva dalla costa tirrenica, ionica, dalla terra del sole pronta ad affrontare gli inverni gelidi, il freddo umido che penetrava nelle ossa nelle città padane, spesso in ripari di fortuna. Pur di lavorare! I migliori avrebbero resistito, si sarebbero adattati. Ma così il sud si impoveriva della sua linfa migliore, quella che non avrebbe mai accettato di sottomettersi alle mafie. 

Quella sinistra predicava contro l’immigrazione ed ad favore di una politica di sviluppo reale del mezzogiorno italiano, altrimenti condannato ad essere gestito dalla criminalità organizzata generando una economia sempre più stagnante ed assistita. 

Nel 1700 ed anche prima, la nascente America del Nord, adeguatamente colonizzata, aveva bisogno di risorse umane che governassero l’agricoltura nei suoi grandi appezzamenti. 

I mercanti dell’epoca quindi, si trasformarono in cinici e disumani esportatori di schiavi, reclutati con la forza in ogni cantone dell’Africa nera e tradotti in catene presso le grandi aziende cotoniere del Nord d’America. 

Manodopera a costo zero, molto richiesta dall’imprenditoria e dalla finanza dell’epoca, che ne realizzò il più copioso dei business (affari).

L’opera incessante delle organizzazioni non governative di trasporto massivo di immigrati forse rappresenta la cartina di tornasole di un business che continua. Basta vedere da chi sono finanziate, da chi sono protette, e che prospettiva offrono ai clandestini dopo averli sbarcati. 

Manovalanza graditissima alle organizzazioni criminali, non “migranti economici”, ma “schiavi agricoli“, quando va bene.   

L’immigrazione ha sempre rappresentato una miniera d’oro per l’imprenditoria agricola aristocratica e latifondista. Forme di sfruttamento che ancor oggi vengono sostenute con l’ausilio delle mafie. 

Il Sud, completamente abbandonato a se stesso, ancor oggi non gode di una visione, di una prospettiva e di finanziamenti strutturali per lo sviluppo e l’occupazione. 

E’ sufficiente gettare un occhio al recente provvedimento denominato “sblocca cantieri” per rendersi conto che l’85% delle risorse sono destinate al Centro ed al Nord.

Cristo si è fermato ad Eboli? E lì probabilmente è rimasto.

Se qualcuno emigra significa che il problema insiste nel luogo da cui è costretto a fuggire. E’ lì che occorre creare le condizioni di sviluppo e di opportunità per risolvere il problema alla radice. 

E’ al sud che occorre creare infrastrutture, per sostenere la comunicazione, la cultura, e le attività produttive ed, in primis, il turismo.

È in Africa che occorre andare per rimuovere gli ostacoli politici, economici e sociali. 

Una terra, la loro (come del resto la nostra), da rispettare e non da sfruttare o depredare.

Popoli da rispettare e non da schiavizzare.  

Alzare muri sulla linea di confine non basta. Occorre fermare chi li spinge verso il muro. Chi li costringe a fuggire dalle loro terre. Altrimenti il problema resta.   

Oggi si parla tanto di Salario minimo, ma mentre la sinistra attuale (come cambia il mondo !?!?!) si mostra benevola verso i traghettatori internazionali di merce umana, Marx probabilmente avrebbe detto: “Come si fa a parlare di salario minimo a 9 euro l’ora quando entrano a frotte (oggi forse meno) tonnellate di manovalanza disposta a lavorare in nero nei campi, o per la criminalità organizzata, per 9 euro al giorno?”. 

La stessa reprimenda che il padre del socialismo reale svolse all’indirizzo del capitalismo inglese della sua epoca che organizzava per i poverissimi irlandesi tour di spedizione coatta, senza biglietto di ritorno, direttamente dalla loro vecchia casa alla nuova fabbrica, mantenendo così il costo dei salari molto basso e le sacrosante rivendicazioni operaie inascoltate.  

Aver lasciato il Sud a ristagnare nella desolazione di un’economia senza prospettive di sviluppo, molto spesso ostaggio delle organizzazioni malavitose, e’ stato un grave errore, come del resto favorire politiche assistenziali con il solo obiettivo di rinviare la risoluzione di problemi sempre più radicati ad un domani sempre più lontano. 

Ma anche tutto questo è frutto di un disegno perché  lo sfruttamento di una manovalanza giovane senza garanzie, né tutele, spesso a lavorare nei campi, talvolta nello spaccio di droga, in altri casi arruolata nella prostituzione …, genera comunque ricchezza, o meglio una economia sommersa “sporca”, molto gradita ad una finanza senz’anima, che, dai tempi di Sindona, non fa altro che “lavare panni” nei paradisi fiscali, per far tornare quei panni, ormai splendenti, nei forzieri dei grandi speculatori internazionali. 

Enrico Mattei, a cui era stata affidata l’AGIP un’azienda petrolifera da liquidare e poi svendere alle “sette sorelle” (i grandi petrolieri del pianeta), cercò di  opporsi al nefasto disegno previsto per il nostro Meridione, e quando andò in Sicilia ormai forte di un lavoro talentuoso, intenso e proficuo, chiese alla folla che accorreva di richiamare gli emigranti che avevano lasciato l’isola in cerca di occupazione perché l’indomani ci sarebbe stato lavoro per tutti. Non l’avesse mai detto! Fu la sua condanna a morte! Che di fatto avvenne il giorno dopo. 

Di Enrico Mattei, potenti detrattori, patrocinatori evidentemente di interessi opposti, dissero per tutto il corso della vita del grande manager di stato che fosse il corruttore per antonomasia, che pagava tutti per semplificare la burocrazia od ottenere provvedimenti favorevoli ai suoi obiettivi. 

Poi, dopo il suo assassinio si scoprì che non possedeva quasi nulla di personale, che aveva vissuto per tutta la sua vita lavorativa nel settore pubblico in due camere d’albergo e che l’unico patrimonio lo aveva lasciato al Paese, la più grande e solida azienda dello Stato, ancor oggi tale, e 60.000 posti di lavoro che ancor oggi non conoscono precarietà.

Cari amici. 

Non sembra, ma tutto ha una sua logica e tutto ha un suo fine, con tanti piccoli attori, impauriti o venduti per quattro sesterzi, che invece di cambiare il mondo, recitano sempre la stessa triste commedia.

Enrico Michetti