Ci siamo divertiti (sottovoce)

Dalla nostra nuova postazione nella piccionaia della tribuna stampa, più vicini alle nuvole che al terreno di gioco, con la sensazione quindi di stare assistendo a una partita di Subbuteo, viste distanze e proporzioni, confessiamo di esserci divertiti.

Sottovoce, senza enfasi, anche per non disturbare il manovratore. Però ci siamo divertiti. Non tanto per le segnature, o per la lotteria dei rigori con la carambola finale sul tiro di Marcelo, quanto per aver visto e riconosciuto un’identità, una serie di idee messe in pratica ed espresse con automatismi embrionali.

Identità e idee si traducono sempre in assunzioni di responsabilità, di conseguenza comportano dei rischi: anche quelli si sono intravisti, percepiti. Questo genera un interrogativo su quando la soglia agonistica (e le temperature) saranno quelle dei giorni in cui ogni esitazione costerà cara.

Fermarsi a questa osservazione, però, vorrebbe dire esibire un pregiudizio pessimistico. Invece ribadiamo che ci siamo divertiti nell’individuare la riconoscibilità di un progetto di gioco; nel vedere una serie di giocatori destinati o restituiti a compiti che potrebbero esaltarne le doti; un portiere che trasuda affidabilità.

Il tutto in una serata estiva che più estiva non si può, con una Roma ancora “laboratoriale” per l’assemblaggio degli interpreti ma un minimo già riconoscibile per il suo modo di proporre calcio, cosa che peraltro non si può dire, al momento, per il Real di Zidane dal “cast” quasi stellare.

Per completezza di analisi, aggiungiamo che ieri sera Fazio è apparso concentrato e relativamente rapido, quindi il discorso sui rischi è collegiale, non ad personam. A maggior ragione, ribadiamo l’interrogativo riguardante il centrale difensivo venturo, quello che ancora manca e che probabilmente non sarà Alderweireld.

Come nota a margine, diciamo che ci piange il cuore con nostalgia ancora preventiva per aver visto, una volta ancora, l’esibizione di tutta l’argenteria tecnica di Edin Dzeko. Anche questo lo diciamo sottovoce, tanto a urlare il nome del bosniaco ci ha pensato un Olimpico che ancora spera.

Paolo Marcacci


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