L’art. 114 della Costituzione stabilisce che: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato … “.
I comuni sono l’ente più prossimo al cittadino, il vero front-office per il popolo, l’ente che non può nascondersi.
Se governi bene, si vede, al contrario si nota anche.
La legge elettorale prevede l’elezione diretta del Sindaco, che nel comune ancora rappresenta la volontà popolare ed il territorio.
E’ vero che i partiti incidono ancora molto, ma nei Comuni se si candida una persona perbene il cittadino di “qualità” non segue le indicazioni di partito ma la persona ed il programma che ritiene più adeguato alla propria comunità.
Chiaramente, come nei collegi elettorali che più sono estesi e più conta la forza dei partiti, anche nei comuni, più sono grandi e più diventa difficile e dispendioso farsi conoscere ed apprezzare.
Ma il Comune resta comunque l’ultimo baluardo di una elezione in cui l’eletto è ancora vicino alla volontà popolare.
Ossia, nel bene e nel male, il sindaco e’ più di ogni altri il vero rappresentante di uno specifico territorio.
E’ quindi, dal modello dei comuni che occorre ripartire.
I comuni, ma ne parlerò più dettagliatamente in seguito, dovranno rappresentare la riduzione ad unità dell’intero sistema. Soprattutto in termini servizi. Mi spiego meglio.
La riforma della pubblica amministrazione dovrebbe infatti, essere costruita proprio partendo dall’ente più prossimo al cittadino.
La vera semplificazione organizzativa e logistica, con l’ausilio dell’innovazione tecnologica, si avrà soltanto quando il cittadino potrà rinvenire presso la casa comunale tutti i servizi dell’amministrazione pubblica, non soltanto quindi, quelli canonici dell’ente locale, ma anche quelli dell’INPS, dell’Agenzia delle Entrate, del Demanio, della Sovrintendenza, delle ASL (quelli burocratici chiaramente), Patenti, Passaporti, qualsivoglia titolo abilitativo, soltanto per fare alcuni esempi.
Il cittadino eviterà quindi, di fare il giro delle sette chiese in una sorta di estenuante pellegrinaggio tra i meandri di una burocrazia, che attraverso la centralizzazione delle banche dati e personale idoneo a risolvere problematiche finanche complesse riguardanti tutti i settori della PA, direttamente presso la casa comunale, renderebbe l’amministrazione pubblica più veloce, più efficiente e più umana.
Il Comune dovrà divenire quindi, lo Sportello Unico di tutti i rapporti tra il Cittadino e la Pubblica Amministrazione. (Riforma n. 1)
Per il controllo del territorio si dovrà iniziare ad utilizzare i droni che se collegati digitalmente alle procedure amministrative automaticamente svolgeranno un’attività di vigilanza circa: la corretta fruizione dell’edilizia semplificata (Dia, Scia) la rilevazione degli abusi, l’ambiente ad es. il monitoraggio delle aree ad esondazione e dei fossi, come del resto la pronta rilevazione delle discariche abusive, il tempestivo raccordo delle forze da interessare in caso di incidenti stradali, oltre all’attività di ausilio alla repressione di eventuali episodi di criminalità: furti, rapine, ed altro ancora.
Dai comuni dovrà partire la formazione, la selezione ed il cursus onorum (l’iter) di ciascun politico almeno sino alla Regione.
La politica è utile e complessa quanto la fisica o la medicina e necessita, al pari di queste, di studio, capacità, approfondimento, esperienza, sensibilità.
Se non sei preparato come accade purtroppo assai di frequente, sei inutile se non dannoso, con ampie responsabilità dei partiti e dei movimenti che premiano la fedeltà e la stupidità (di chi ripete non ciò che gli proporrebbe la coscienza e la ragione, ma ciò che giova agli interessi propri e del partito).
Errore gravissimo pensare che fare politica sia una passeggiata in pianura con tanti amici dove tutto scivola liscio e ci si può andare anche non attrezzati.
La politica è nata con l’uomo, e per la sua complessità, se ne sono occupati, sin dall’origine dalla nascita delle prime civiltà, i personaggi più colti, più raffinati, più preparati, più esperti, più eccellenti del panorama filosofico planetario.
Soltanto ripensando all’antica Grecia cosa avremmo oggi da insegnare a Socrate, a Platone, ad Epicuro, ad Aristotele forse le scoperte della fisica e di tutto ciò che gli fa da corollario scientifico, ma sul resto siamo noi che ancora li studiamo stupendoci ogni volta della loro immensa grandezza.
La politica è un’arte nobilissima spesso svilita da usurpatori, corrotti, carrieristi, nullafacenti o semplicemente onesti incapaci.
Non è quindi, la politica che è sporca ma le categorie sopra rappresentate che non la meritano e la mortificano.
Per renderla nuovamente nobile occorre qualificare gli attori da mettere in scena.
Se si volessero ottenere dei risultati si dovrebbero elaborare sistemi elettorali che consentano ai più meritevoli di emergere, con umiltà ed esperienza specifica nel settore, partendo dal basso.
Tanti potrebbero definire Maradona un tossico, un corrotto, uno scorretto (la mano di Dio), un rissoso, un …, ma sapeva giocare al calcio, era un talento e si esercitava dall’alba al tramonto sin dalla culla, era un tutt’uno con la pelota (il pallone), anche se con i suoi difetti (vizi) ha rovinato se stesso e dato meno di quello che avrebbe potuto offrire al calcio, ma ha comunque, lasciato un patrimonio di emozioni, di spettacolo, di trofei per le squadre per cui a militato ed un titolo mondiale per la sua Argentina.
Ora se ponessimo un neofita, per quanto talentuoso in altri campi, per quanto perbene, per quanto esperto in altri settori, al cospetto di Maradona, ma anche al cospetto di atleti ordinari di compagini poco titolate, il neofita non soltanto nella competizione sparirebbe, ma sarebbe inutile se non dannoso perché farebbe giocare la propria squadra in 10.
Certamente il neofita potrebbe sostenere per accreditarsi che Maradona sia un tossico, un corrotto, uno scorretto, un rissoso, un …, e magari trovare il consenso necessario per sostituirsi a Maradona, ma con quali risultati?
Tanto è accaduto in Italia dopo la prima Repubblica.
Tutto è finito quando il potere ha ritenuto che non fossero più necessarie le scuole di formazione politica, la selezione della classe dirigente politica e soprattutto il cursus onorum in ordine al quale il politico nasceva sempre dal basso e cresceva pian piano se aveva capacità e consenso, e soprattutto se riusciva a risolvere i problemi del proprio territorio.
Il “Nuovismo” che prendeva le mosse sin dalla metà degli ’90 era ecumenico, in politica: Tutti potevano far tutto.
Tale concetto è stato esaltato a tal punto che ormai l’agone pullula di nani, starlette, ballerine, improvvisati e dilettanti di ogni sorta.
Tant’è che oggi avendo vergogna di quello che è diventato il Parlamento propongono una eliminazione consistente di se stessi, profittando di una latente inutilità del proprio operato.
Dopotutto forse meglio una oligarchia illuminata, che una democrazia di inetti, dicono i “rottamatori”.
E qualora anche gli oligarchi si rivelassero deficitari, meglio forse una dittatura restauratrice di un po’ di ordine, a fronte ormai di una democrazia scivolata in una insostenibile anarchia.
La parabola e’ sempre la stessa e la storia non insegna mai nulla, a distanza il ricordo svanisce, la memoria si dilata, ed il regime (ormai più finanziario che politico) si afferma come una manna dal cielo.
Del nuovo “schiavismo” parlerò in uno scritto dei giorni di poi.
Il ritorno “dell’uomo qualunque” di gianniniana memoria, si sta affermando con grande successo, mentre grassatori e predatori di ogni genere agiscono indisturbati coperti dal glorioso avvento del nulla.
Dal detto: Uno vale uno.
Si è passati al detto: L’uno vale l’altro.
Ma torniamo alla proposta.
Dopo i Comuni nell’articolo 114 della Costituzione vengono citate le Provincie e le Aree Metropolitane (che le sostituiscono nei grandi agglomerati urbani).
Oggi questi due enti tranne che per qualche potestà pianificatoria, non riescono, per scarsità di risorse e perché in bilico istituzionale, a dar corso alle poche competenze residuate.
Enti ritenuti inutili, che invece in virtù dell’omogeneità morfologica e storico culturale dei bacini provinciali (addirittura doi romana memoria) in alcuni servizi di area vasta come ad esempio nei trasporti, nell’ambiente (acqua ed in parte i rifiuti), nella valorizzazione del turismo potrebbero ancora recitare un ruolo importante.
Riterrei che la riforma potrebbe restituire, nel rispetto pieno del criterio della sussidiarietà (il compito è chiamato a svolgerlo l’ente che più di altri si presta alla migliore amministrazione), gran parte delle vecchie competenze integrandole con altre adeguate per un’area omogenea, che si riscontra certamente nella Provincia, ma non nella Regione, frutto nel dopoguerra soltanto di un tratto di penna (Riforma n. 2).
Il sistema elettorale precedente prevedeva l’elezione del consigliere provinciale per collegi che potrebbe essere ripristinato consentendo però la candidatura (elettorato passivo) soltanto ai consiglieri comunali, eletti nei comuni del territorio provinciale, dal secondo mandato in poi, e comunque non prima che abbiano conseguito almeno cinque anni di presenza (e quindi di esperienza) in seno al consiglio comunale medesimo (Riforma n. 3).
In tal modo la porta di accesso alla politica avverrebbe senza salti nel buio, si privilegerebbe una esperienza maturata sul campo di almeno cinque anni di un soggetto effettivamente eletto dal popolo, conosciuto dallo stesso, e che potrebbe addirittura essere eletto al di fuori dei partiti tradizionali nei cosiddetti movimenti civici.
I consiglieri comunali che saranno eletti, dai cittadini del territorio, divenuti consiglieri provinciali indicheranno soggetti esterni da eleggere alla carica di Presidente della Provincia.
Il Presidente verrà verrà quindi, eletto dai consiglieri provinciali (Riforma n. 4).
Il Presidente una volta eletto, in seno al consiglio provinciale, nominerà la propria giunta al di fuori degli eletti e potrà essere sfiduciato soltanto dal voto dei due terzi del consiglio.
Il Presidente verrà quindi nominato da rappresentanti votati dal popolo eletti prima come consiglieri comunali e poi confermati, dallo stesso popolo, con nuove elezioni, come consiglieri provinciali.
Le Regioni invece, a mio giudizio dovrebbero avere il Consiglio Regionale composto soltanto da Sindaci (di diritto quelli dei capoluoghi di provincia) eletti nei comuni del territorio Regionale, dal secondo mandato in poi, e comunque non prima che si siano conseguiti almeno cinque anni di presenza in carica (e quindi, di esperienza) in seno al comune medesimo (Riforma n. 5).
Chiaramente in seno al consiglio regionale dovrebbero essere rappresentati i comuni delle diverse province, i comuni di diversa popolazione all’interno di queste, magari già divisi per fasce di popolazione, rispettando la proposizione, in base agli abitanti, per l’assegnazione dei seggi spettanti ad ogni provincia.
Anche in questo caso dovrebbero essere i sindaci eletti in consiglio regionale ad individuare soggetti esterni da candidare alla carica di Presidente della Regione.
Sarebbero poi i sindaci eletti in consiglio regionale ad eleggere il Presidente della Regione.
Anche il Presidente una volta eletto in seno al consiglio regionale, nominerà la propria giunta al di fuori degli eletti e potrà essere sfiduciato soltanto dal voto dei due terzi del consiglio.
L’incarico di consigliere regionale e provinciale potrà essere ricoperto una sola volta, e durerà finché il sindaco o il consigliere saranno in carica presso il loro comune.
Sindaci e consiglieri eletti rispettivamente consiglieri regionali e consiglieri provinciali cessati dalla carica presso il loro comuni saranno surrogati da altri colleghi aventi i medesimi requisiti che seguono nella lista degli eletti (Riforma n. 6).
Questo consentirà di avere la massima rappresentanza degli interessi locali e garantirà anche una grande circolarità ed opportunità per gli amministratori pubblici, tutti provenienti dai comuni e tutti eletti dal popolo, nonché confermati nelle nuove cariche dallo stesso popolo in seconde elezioni.
La conoscenza diretta dell’eletto il cui operato potrà essere costantemente monitorato soprattutto in sede locale, e’ funzionale alla centralizzazione di tutti i servizi dell’amministrazione pubblica presso i comuni (non soltanto quindi, quelli canonici dell’ente locale, ma anche quelli dell’INPS, dell’Agenzia delle Entrate, del Demanio, della Sovrintendenza, soltanto per fare alcuni esempi).
La centralizzazione dei servizi al cittadino dell’intera amministrazione pubblica all’interno dei comuni potrà avvenire soltanto se Province e Regioni siano al servizio dei Comuni, meglio quindi, se vigilata da Consiglieri comunali e Sindaci, entrambi eletti e pertanto scelti direttamente dal popolo.
Sindaci e consiglieri comunali sono i soggetti effettivamente più vicini all’elettorato e quindi al cittadino, i veri rappresentanti del territorio, la loro presenza in Provincia e Regione, oltre a favorire la vera democrazia in termini di rappresentanza favorirà l’opera di ausilio ai comuni da parte degli altri enti locali e delle Regioni.
Un’albero per tenersi in piedi ha necessità di un saldo ancoraggio al terreno, attraverso radici solide ed adeguate.
L’albero potrebbe essere la democrazia, il terreno non potrebbe che essere il territorio, la radice e’ senza dubbio il rappresentante del popolo, ossia l’essenza della democrazia.
Pessime leggi elettorali, lobbiste e partitocratiche, ci hanno abituato ed imposto candidati che non soltanto non conoscevano il territorio che li eleggeva, ma che prima che fossero messi in lista non sapevano neanche dove quel territorio fosse. Immagino come potessero rappresentarlo degnamente.
Ad oggi, soltanto la legge elettorale del comune consente effettivamente di generare dei rappresentanti veri del territorio. Pertanto, creare un asse coerente, armonico, logico e perfettamente rappresentativo tra Comune, Provincia e Regione non potrà che favorire tanto l’efficienza dell’azione amministrativa, quanto la reale democrazia, oltre che a marginalizzare istanze diverse da quelle locali e campagne elettorali dispendiose per insediare soggetti esterni graditi soltanto alle corporazioni ed alle deviazioni della partitocrazia.