Ilva Sì! Ilva No! Scudo penale Sì! Scudo penale No! Poi ancora Sì. Infine ieri il Presidente del Consiglio a Taranto confessa: “Non abbiamo ancora una soluzione pronta…”
Premesso che a nessuno può essere concessa la licenza di uccidere.
Aver pertanto, inserito una clausola che invalidasse quanto campeggia in ogni aula di giustizia, ossia che “La legge è uguale per tutti”, non può ritenersi accettabile in un paese civile.
Anche perché dinanzi ad un piano di bonifica ambientale a cui segua una programmazione puntuale di interventi ed una progettazione esecutiva delle attività con protocolli e capitolati già previsti e validati dall’Autorità il rischio di incorrere in procedimenti penali, dinanzi ad una corretta attuazione delle opere, è praticamente pari a zero.
Ed allora vi chiederete perché le aziende chiedono lo scudo penale, ossia l’immunità per gli eventuali crimini commessi nel corso delle attività di bonifica?
Perché un conto è dire e sottoscrivere e altro conto è attuare.
Le società potrebbero versare in situazione di crisi e pertanto dar corso soltanto parzialmente agli impegni assunti in materia di bonifica, ovvero utilizzare materiali diversi da quelli previsti, magari meno costosi o scadenti, utilizzare personale insufficiente ovvero scarsamente qualificato pur di ridurre i costi e via cantando…
Giova precisare che il rischio penale rappresenta innanzitutto un deterrente.
Il fatto che vi sia l’immunità, ossia uno sorta di salvacondotto, potrebbe, dinanzi a gestioni speculative, far cadere qualsivoglia stimolo a svolgere a regola d’arte le prestazioni negoziate.
Considerate poi, che l’azione penale sanziona il comportamento criminale, ma quando questo è stato commesso i danni a persone e a cose sono già stati procurati.
Pertanto la sanzione rappresenta principalmente un monito al fine di scongiurare i comportamenti atti a procurare quei danni.
Se questo monito venisse meno chiunque sarebbe eventualmente abilitato a procurare danni, finanche disastri, senza dover render conto ad alcuno.
E Dio solo sa cosa non si farebbe per il “dio denaro”.
Opere di bonifica, come quelle di cui abbisogna Taranto, così profonde, radicali costose generalmente vengono affidate allo Stato, quale massimo organo di sicurezza nazionale.
Si dice, ma lo Stato non ha i soldi?
Lo Stato tolto il costo annuale degli interessi passivi sul debito dispone di circa 800 miliardi l’anno.
Dipende da come quei soldi li spendi. Li puoi investire in attività produttive, puoi calmierare istanze sociali, o li puoi dilapidare in malaffare ovvero, e direi soprattutto, in sprechi.
Alla fine, generalmente, i governi fanno un mix privilegiando gli sprechi, la spesa corrente e riducendo quasi a zero gli investimenti.
Quando si pianifica un insediamento produttivo, e lo si qualifica come strategico, è perché si è individuata non soltanto un’area di mercato compatibile con lo sforzo produttivo, ma soprattutto perché lo Stato già prevede una stretta correlazione tra lo sviluppo del Paese e l’insediamento industriale.
Non vi è dubbio che stante l’attuale situazione se quello stabilimento lo si vuol mantenere produttivo dovrà essere messo in condizione, attraverso le necessarie opere di decarbonizzazione, di non nuocere alla salute dei dimoranti di prossimità e degli operatori dell’impianto.
L’unico soggetto in grado di garantire ciò, senza scudi ed altre “becere armature” è soltanto lo Stato Italiano attraverso la nazionalizzazione diretta ovvero attraverso l’acquisto dell’impresa da parte di società interamente controllate dallo stato medesimo.
Ed allora viene spontaneo chiedersi quale sia il piano strategico di sviluppo del paese in cui l’impianto rivesta un ruolo centrale?
Quali le opere infrastrutturali strategiche di cui potrà giovarsi il paese attraverso il supporto indispensabile del colosso siderurgico? Affrancando così l’Italia da ogni discorso legato a strette logiche di mercato o della finanza internazionale?
Qui non si tratta di individuare “soluzioni pronte” o di continuare a trattare in maniera estenuante ed infruttuosa con operatori di mercato in conclamata crisi, peraltro in cerca di ogni pretesto pur di togliersi di mezzo.
Qui si tratta al contrario di avere un piano per lo sviluppo e l’ammodernamento del Paese.
Ormai a breve, la distanza tra Napoli e Milano, via terra, verrà colmata in circa tre ore.
Viceversa la distanza similare tra Napoli e Palermo sempre via terra prevede tempi biblici.
Parlo di distanza ferroviaria purché è l’unica in grado di sostituire quasi integralmente il traffico passeggeri e ridurre notevolmente il traffico merci su gomma.
Se pensate che un aeroporto prevede in media un paio di voli quotidiani per le destinazioni principali per cui un trasporto a pieno carico pari a circa 300 persone al giorno, quando la tratta ferroviaria consente a pieno carico il transito sul binario di circa 4000 persone l’ora.
Aver concluso la Salerno Reggio Calabria con quasi cinquant’anni di ritardo ha fatto sì che quella grande infrastruttura oggi si riveli superata. Tanto valeva investire risorse prioritariamente per l’alta velocità ed il ponte sullo stretto.
Più il tempo passa e più si riduce la possibilità di realizzare grandi opere, che andrebbero pianificate e realizzate prima delle piccole, in quanto i processi di antropizzazione, di consumo del suolo, di contaminazione locale, finanche abusiva dei territori rende sempre più difficoltosi se non impossibili gli espropri per pubblica utilità necessari a liberare le aree necessarie ad ospitare le opere medesime.
Oggi la Sicilia ha due grandi risorse: il turismo e l’export di prodotti tipici e di altissima qualità, ed al contempo è afflitta da una devastante disoccupazione, perché quindi questa terra non resti confinata nel profondo sud sono necessarie le grandi infrastrutture (mai realizzate?!) in grado di portare saldamente l’economia siciliana nel cuore dell’Europa continentale e di creare occupazione, dapprima con l’impiego di manodopera per la realizzazione dell’infrastruttura e di ogni altra commessa futura di pari importanza nel mondo, e poi, con lo sviluppo generato dalla modernizzazione delle reti di trasporto e di comunicazione in genere.
Ecco a cosa potrebbe essere funzionale l’ILVA, ad un grande progetto di rilancio del sud.
Peraltro il corridoio 1 Berlino – Palermo potrebbe ricevere diversi miliardi di finanziamento dall’Europa, fondi comunque vincolati alla realizzazione dell’opera, quindi non diversamente utilizzabili.
Basti pensare che con le recenti rinegoziazioni il solo Ponte sullo Stretto (opera indispensabile alla realizzazione del corridoio) potrebbe ricevere circa 2 miliardi e mezzo dall’Europa (il 50 % del costo totale) e visto che in gran parte sarà costruito in ACCIAIO, quale migliore occasione per bonificare Taranto e rilanciare il più grande stabilimento siderurgico del continente con i soldi dell’Europa?
Enrico Michetti
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