10 luglio 1992: la data che cambiò l’Italia

Eravamo la quarta potenza industriale del mondo, quando si ravvisò la necessità impellente e non procrastinabile di emanare un decreto d’urgenza pubblicato alla mezzanotte tra il 10 e l’11 luglio del 1992 con cui venne imposto il prelievo forzoso del 6‰ (sei per mille) dai conti correnti dei cittadini italiani.

Il provvedimento, unico nella storia della Repubblica italiana, venne adottato quella stessa notte senza neanche un secondo di preavviso.

Contemporaneamente aumentarono l’età pensionabile, iniziarono ad affossare le imprese con una patrimoniale lacerante, vararono la minimum tax, introdussero i ticket sanitari e la tassa sul medico di famiglia, nonché l’imposta straordinaria sugli immobili pari al 3 per mille della rendita catastale rivalutata. Soltanto per ricordare qualcosa.

Ci dissero, DOPO, che tale sacrificio sarebbe servito a non aver più problemi in futuro.

Tutti gli indicatori di qualità e di sostenibilità di allora non vennero in futuro mai più migliorati, mai eguagliati ed anzi l’economia di ieri appare oggi un miraggio per quanti passi indietro abbiamo fatto.

Ergo (per cui), quelle misure draconiane probabilmente avevano ben altro obiettivo, conseguito nel tempo con straordinario rigore, avviare un rapido smantellamento dell’economia italiana, dei suoi presidi e delle sue tutele.

Per condurre a termine il piano di annientamento e di asservimento del nostro sistema produttivo alle lobby internazionali era necessario innanzitutto liquidare la Prima Repubblica che di vizi ne aveva, e tanti, ma non si sarebbe mai così miseramente piegata.

Serviva un’azione di forza che cancellasse il sistema e per farlo occorreva pescare tra i più cinici e spregiudicati soggetti della politica di allora (prestati a questa senza ideali) insieme ad alcuni poteri dello stato (più o meno classificati).

Fu un vero e proprio di D-day (il giorno fissato dalla storia): l’Italia cambiò pelle per sempre.

Da quel giorno nacque “la sinistra borghese” e “la destra commerciale”, sparirono socialisti, liberali, repubblicani, democristiani… Quanto ai comunisti prima maniera, ne era già stata dichiarata l’estinzione con la svolta della Bolognina.

Cancellato il passato, scomparve anche l’interesse verso il popolo e la nazione.

Al Nuovo quindi, si aggiunse nel tempo la Piazza, urlante e cantante, che avrebbe sostituito il popolo, non per garantirne una legittima tutela ma spesso soltanto per rabbonirlo.

La Piazza nel frattempo licenziava nuovi leader, senza passato e senza futuro, senza arte né parte, assolutamente coerenti e graditi ai nuovi oligarchi dell’ordine mondiale.

Fu proprio allora che nacque la nuova ideologia imperante, e giustificatrice del nuovo corso, che avrebbe dovuto guidare la transizione.

Il politicamente corretto.

Una dittatura del pensiero che avrebbe manipolato la psiche delle genti italiche e ristretto all’interno di rigidi binari la libertà degli individui.

La sinistra da filo palestinese e russeggiante diventava d’incanto, filo israeliana e laburista americana. Sostenitrice dell’Unione monetaria a prescindere, dell’Europa per dogma e dei grandi magnati della finanza a cui affidare l’intero circuito mediatico.

La destra più che al popolo pensò a divertirsi e a divertire trascinando la scena politica in una commedia da soap opera e quando gonfia di consensi preferì un’agire mercantile piuttosto che dar corso alle riforme per cui il popolo l’aveva votata.

I servi cinici del trasformismo cosa ebbero in cambio? Una sfolgorante carriera.

Vendettero l’Italia per quattro spicci. Da ricchi ci ritrovammo improvvisamente poveri.

Ma torniamo al D-day. Al prelievo forzoso del 6 per mille.

Fu un prelievo rivoluzionario e proletario.

Le modalità furono quelle dell’esproprio collettivo. Fu proletario perché a patirne furono i risparmi del popolo. Fu rivoluzionario perché i beneficiari furono gli oligarchi della grande finanza internazionale.

Quello per cui avevano lottato Gramsci, De Gasperi, Di Vittorio, Nenni, Croce… Non era valso a nulla. Il popolo, le garanzie, la libertà, l’iniziativa economica, il sostegno allo sviluppo, le tutele al lavoratore… Per la nuova politica tutto riconduce inevitabilmente ed irreversibilmente ad un cittadino nuovo con l’allettante prospettiva di divenire fattorino o corriere delle grandi multinazionali della logistica.

Persino la Costituzione oggi non ha più bisogno di revisione, è sufficiente disapplicarla nel silenzio generale.

Il negozio, quale presidio di sicurezza locale, luce accesa che rende viva una strada, punto di approdo sociale, luogo di contatto reale con la merce, avamposto di affidabilità e di presenza costante, ditta di esseri umani con le loro famiglie furono condannati senza giudizio come evasori per definizione.

Costretti a chiudere per far largo, con tanto di gran cassa, alla distribuzione planetaria di chi le tasse le paga (!?) nei paradisi fiscali.

Eppure nessuno piange e si dispera per la loro chiusura che rende le nostre strade un deserto. A dimostrazione della straordinaria efficacia della nuova propaganda, che ha sostituito Dio con il denaro, l’umanità con il cinismo, gli interessi della nazione con la carriera personale.

E quando finanche l’ultimo esercizio commerciale avrà chiuso sarà la multinazionale della logistica a fare il prezzo, sola e indisturbata, e lo sconto di oggi (un’elemosina distruttiva) sarà ben ripagato domani (con lauti ed incontrastati guadagni), quando ormai schiavi e senza alternative saremo perfettamente globalizzati e piegati al progresso, senza che ci sia stato consentito di determinarlo ed umanizzarlo.

E probabilmente esisteremo fino a quando qualcuno troverà ancora remunerativo vendere il mangime.

Enrico Michetti


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