L’amore non saprei, ma l’Europa League ai tempi del Coronavirus è davvero qualcosa di destabilizzante: basti pensare ad Antonio Conte che, abituato ad avere a che fare col propio ego, stasera ha dovuto fronteggiare anche la propria eco.
All’inizio i nerazzurri, complice la cornice inusuale, hanno un poco sofferto i bulgari guidati in panchina da Vrba, che deve essere una password temporanea del vero cognome. In ogni caso, è lecito parlare di Ludo – patia.
Si sentono grida, raccomandazioni, scambi di vedute, colpi di tos…no, niente. Fanno effetto, di certo, gli spalti vuoti del catino milanese: inservienti con la pettorina gialla, punteggiatura del nulla che lascia orfani i seggiolini. Forme di vita si agitano in tribuna stampa, saranno circa una quarantina. Sempre meglio che una quarantena.
Etciu…mbia! Così maschera lo starnuto qualche imbucato, in milanese stretto, per non dare nell’occhio.
È stato ribadito più volte che gli animali da compagnia non diffondono il virus; sospettosissimi, i componenti lo staff del Ludogorets continuano a chiedersi come considerare Ranocchia. Non che Conte sia insensibile all’interrogativo, anzi.
Portatore sano di palla, Borja Valero continua a trotterellare palla al piede, abbassando i ritmi ad arte. E mettila da parte, come fosse Amuchina.
Il Meazza visto dall’alto, così, nudo e maestoso , però silente, come fosse superfluo sentirne la voce: praticamente una pellicola con Rocco Siffredi.
Eriksen è felicissimo di giocare, stasera: gli si legge in volto che sprizza gioia da tutti i pori, però coprendosi con un fazzolettino.
Alla fine la qualificazione arriva, nel vuoto in cui rimbombano complimenti e pacche sulle spalle. Che calcio è stato? In sordina, come se qualcuno avesse messo il silenziatore a un contesto solitamente animato. Come se ogni eccesso, di quelli consueti, fosse straordinariamente attutito.
Si può provare anche con mia suocera?
Paolo Marcacci