Come salvare l’Italia. Mi odierete… ma raccontare menzogne per il piacere del vostro consenso non è il mio intento

Cosa si può fare per salvare l’Italia? 

Oggi mi farò tanti nemici. 

Il governo con la manovra da 4 miliardi ha fatto quello che doveva, purtroppo in larghi strati della popolazione iniziano a farsi sentire i morsi della fame. 

Comprendo la difficoltà del governo di gestire manovre complesse con un macigno sulle spalle rappresentato dal nostro immane debito pubblico che certamente, in termini di responsabilità complessive non è attribuibile all’attuale esecutivo. 

Peraltro, la precarietà degli ultimi governi non li ha aiutati ad assumere provvedimenti strutturali in grado di invertire la rotta. 

Tutti alzano il dito verso l’Europa e come dar loro torto quando si ascoltano dichiarazioni che sembrano esternate da marziani. 

Ma cosa potrebbe fare effettivamente l’Europa? 

Innanzitutto evitare di chiedere soldi agli Stati per accantonamenti come il MES (fondo salva stati), perlomeno non oggi,  perché non avrebbe senso chiedere soldi oggi per generare fondi a tutela di una potenziale emergenza del domani. 

L’emergenza è oggi! E dico ciò a prescindere dalla sua strutturazione a totale sostegno della finanza teutonica. 

Ci sarà modo in tempo di pace per intervenire. 

Altra cosa che potrebbe fare l’Europa sarebbe stampare moneta. 

Anche questa operazione andrebbe fatta con parsimonia, per un breve periodo e soltanto per fronteggiare la fase acuta dell’emergenza. 

Perché altrimenti a rimetterci sarebbero i ceti più poveri devastati dalla perdita del potere di acquisto dei salari. 

Purtroppo più stampi moneta e più quanto guadagni vale sempre meno (sino a divenire carta straccia). 

Al contempo, occorrerà utilizzare quei soldi per distribuirli ai vari stati dell’UE in proporzione ai danni subiti dal loro sistema produttivo, con il vincolo in primis di rifocillare quel tessuto sociale che più ha patito la crisi, ma poi utilizzare quelle risorse per dare impulso e nuova linfa alla fase di riavvio del sistema economico. 

Per cui riassumendo, l’Europa dovrà evitare di creare inutili fondi oggi in piena emergenza e stampare un po’ di moneta per far ripartire l’economia. E non sarebbe poco. 

Dal punto di vista istituzionale l’Europa purtroppo ha manifestato tutte le sue crepe. 

Il coronavirus avrebbe dovuto essere gestito attraverso una unità di crisi europea, perché avremmo contrastato con modalità operative omogenee il contagio, ma al contempo, avremmo potuto avere assai più efficaci laddove i presidi sanitari fossero andati al collasso. 

Anche perché la pandemia oggi colpisce la Lombardia (e soltanto domani altrove) dove sarebbe stato utile collocare gran parte delle apparecchiature (ventilatori polmonari …) ma anche personale sanitario (immagino il pronto soccorso preso d’assedio), forze logistiche (non è possibile che si inviti la cittadinanza a chiamare un numero a cui non risponde mai nessuno) e mezzi (per un infarto un’autoambulanza non può impiegare 9 ore per prestare il proprio soccorso). 

Una unità di crisi europea avrebbe potuto concentrare ingenti risorse laddove più grave fosse stata l’emergenza, per poi trasferire le stesse, man mano che la situazione fosse andata normalizzandosi nei luoghi critici, in quelli dove la fase critica andasse montando. 

Fu la prima cosa che, ormai due mesi orsono, chiesi pubblicamente di fare al Sottosegretario di Stato alla Salute. 

Ma purtroppo avranno avuto le loro difficoltà per non dar seguito al mio suggerimento, anche perché poi, in periodi di magra l’Europa si risolve sempre: “uno per tutti ed ognuno che si guarda gli affari propri.”

Il governo oggi è chiamato ad affrontare una fase molto critica della nostra storia. E come sostenevo prima, non ha tante leve da poter azionare perché il paziente Italia ha diverse patologie in corso. 

Preso atto che tutti i soldi che spenderemo li potremo prendere in prestito o da risorse interne. Tertium non datur dicevano i latini (non c’è altra soluzione). Anche perché i soldi non te li regala nessuno. 

Passiamo quindi, all’analisi

Prendere in prestito i soldi è quello che abbiamo sempre fatto, ma oggi con un debito pubblico altissimo tutto ciò che ci verrà concesso lo dovremo restituire a tassi elevatissimi e se ci venissero concessi tassi bassi, e visto che nessuno ti regala nulla, significa che avremo ceduto altrove, dove apparentemente non si vede ma che fa parimenti male. 

Questa purtroppo è l’amara realtà. 

Anche perché ci sono già pronti gli usurai internazionali ad offrire la propria mercanzia. 

Quindi, non bisogna farsi prendere la mano da manovre  fortemente a debito, ed utilizzare con la massima parsimonia ed oculatezza (soprattutto per la ripresa del circuito produttivo) tali risorse che nel loro impiego dovranno fruttare di più della sorte capitale e degli interessi passivi che pagheremo ai nostri aguzzini. 

Ora passiamo al fronte interno

D’altro canto se non volessimo utilizzare ulteriormente la leva dell’indebitamento che pian piano ci stringe la corda al collo sempre più forte, dovremo far ricorso a sacrifici interni. 

Sarò crudo anche perché il popolo italiano non è abituato a sentire questa musica. 

Per iniziare a liberarci dai tentacoli della piovra finanziaria di cui siamo sempre più tossici e quindi, succubi, dovremo farlo rilanciando le attività produttive, e conseguentemente una occupazione sana e durevole con riforme strutturali serie come abbattere la burocrazia, ridurre drasticamente le tasse sul lavoro (cuneo fiscale) e le tasse sulle imprese. 

Una volta create le condizioni di reale competitività delle nostre merci e dei nostri servizi potremo iniziare a riportare  tutta la filiera produttiva in italia. 

Prima di venire alle dolenti note ricordo che potranno apparire come un pugno nello stomaco, soprattutto ora, ma la nostra situazione finanziaria non è purtroppo migliore della pandemia. 

E quelle misure che ritenevamo impossibili, per gradi abbiamo dovuto accettarle tutte, a cominciare dalla restrizione estrema della libertà. 

Quindi, per evitare di continuare a far debito rivolgendoci sempre ai soliti  spacciatori internazionali, gli stessi aguzzini che hanno strozzato la Grecia, impotente ma anche indolente, ben potremmo azzerare alcune riforme, non perché non utili, ma perché insostenibili nel bilanciamento degli interessi in gioco. 

Inizierei con l’abrogazione di quota cento (salvaguardando chi ne ha già usufruito) ma per l’oggi e per il domani sarebbero 10 mld di euro in meno da pagare. 

Abrogherei anche la regalia dei 100 euro e sarebbero altri 10 mld in meno da pagare

Imporrei il reinvestimento di tutti gli utili per lo sviluppo dell’impresa (innovazione tecnologica ed occupazione – divieto di distribuzione degli utili). 

Taglio, sino al 31 dicembre del corrente anno, di tutti gli stipendi (ivi compresi quelli degli imprenditori, con il capitale investito interamente nell’impresa e non in banca) e le pensioni sopra i 2500 euro mensili. 

Rivedrei il reddito di cittadinanza alzandone anche gli importi per chi è abile al lavoro e richiedendo però, in cambio una prestazione utile per un naturale reinserimento nel mondo del lavoro. 

Un piano di acquisizione di risorse interne per diverse decine di miliardi per avviare quindi, non a debito, un piano di ammodernamento reale del Paese pianificando e realizzando tutte le opere infrastrutturali necessarie a tenere in piedi una mobilità sostenibile, tecnologie ad energia pulita e riconvertibile, imprese sane con le sedi legali ed i centri produttivi in Italia (manovra per l’occupazione non drogata), grazie al dimezzamento delle tasse e del cuneo fiscale. 

La cosa più difficile sarà ridurre la burocrazia, ma prima o poi qualcuno ci dovrà mettere le mani. 

Ed infine tornare ad investire nella scuola e nella ricerca scientifica. 

Non mi capirete … ma soltanto così potremo tornare ad essere più autonomi, più forti ed ad imporre la nostra linea nei contesti sovranazionali. 

Continuando a fare debiti andremo sempre con il cappello in mano in Europa, a chiedere sostegno a chi, se va bene, si fa gli affari propri e se va male ti tratta da accattone. E soprattutto non potrai mai imporre decisioni, con l’aspettativa che se provi ad uscire o a ribellarti ti faranno fallire. 

Uno stato realmente autonomo, culturalmente emancipato, con una sana economia interna, con una disoccupazione marginalizzata, può decidere se stare in Europa ed a quali condizioni. 

E nella politica interna sempre di più potrà tornare ad alimentare con raziocinino una spesa pubblica compatibile con le prospettive di un grande paese.

Enrico Michetti


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