“Siamo prontissimi, anzi, da questo punto di vista siamo un paese all’avanguardia rispetto agli altri: abbiamo adottato tutte le precauzioni possibili immaginabili“. Così Giuseppe Conte rispondeva a Lilli Gruber in data lunedì 20 gennaio. Si parlava di uno strano virus che spopolava in una sperduta cittadina cinese: il tono sicuro e confortante e il fatto che col Ministro Speranza si fosse già parlato di questa malattia che, così lontana, metteva in quarantena Wuhan rassicura gli ascoltatori. Quasi malinconico risentire ora quelle dichiarazioni, seduti sui divani non in un momento di pausa, ma per imposizione della legge così da preservare la vita di altri 60 milioni di italiani.
Ammesso che chiunque sia abile a dare giudizi col senno di poi, figurarsi su un virus riguardo il quale neppure i virologi sembrano essere troppo d’accordo, la situazione attuale stona troppo con quelle dichiarazioni del Premier. “Siamo pronti” è una dichiarazione che purtroppo stona col presente, per quanto la sanità sia un’eccellenza del nostro Paese e di cui pure da questa vicenda abbiamo l’ennesima prova.
Non sembra essere l’ultimo inciampo, “Il Premier si è sostituito anche a Mattarella“, sostiene Tony Damascelli in diretta. Il riferimento va stavolta al discorso dello scorso sabato, in cui Giuseppe Conte ha esplicitamente utilizzato la parola “Stato” (e non “Governo”) pronunciando parole molto diverse per toni ed argomenti da quelle degli ultimi giorni di gennaio, a pericolo lontano, o quasi. Oggi la sanità italiana deve rifiutare dei malati, per non ammalarsi, respingere altre patologie per non collassare. “Ci hanno detto che qualcuno può curarsi e qualcuno è meno grave“, dice Alessandro Vocalelli, “ma non può esserci uno Stato che deve fare una scelta, non in questo caso“.
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