Ineguagliabile nella scrittura e nelle emozioni, ineluttabile nella sintesi e nella sensibilità, ma anche inarrivabile nell’umanità.
Questa una sintesi che mai sarà sufficiente a riassumere quel che è stato Gianni Mura per il giornalismo italiano, ma certamente le parole sono il modo in cui Mura apprezzerebbe di più essere raccontato.
Per questo a Radio Radio Lo Sport lo abbiamo fatto raccontare da chi ci ha condiviso una buona parte di vita a chi lo ha conosciuto nel suo latto più prettamente professionale, convinti che in qualche modo queste testimonianze gli rendano la terra ancor più lieve.
Ecco come Tony Damascelli, Franco Melli, Alessandro Vocalelli, e Stefano Agresti ricordano Gianni Mura
Franco Melli
Questa notizia ha oscurato più di cinquant’anni di amicizia. Ho conosciuto mura al mio primo Giro d’Italia, nel ’68. Lui era al secondo.
Entrambi eravamo stati mandati da Gualtiero Zanetti, direttore della Gazzetta dello Sport.
Anche se era solo l’alba di un grande narratore non mi fu difficile capire che ero entrato in possesso di un’amicizia irripetibile.
Mura e stato per me il più grande giornalista italiano dell’ultimo ventennio, subito dopo la morte di Brera, di cui era giustamente considerato l’erede. Ha dato ampie dimostrazioni di sensibilità, di conoscenza, di bravura nel linguaggio e soprattutto di bravura nel saper accumulare emozioni su emozioni per poi filtrarle con la sua ironia e con una sensibilità senza eguali.
Ci separammo quando cominciò i suoi scritti a Repubblica, nel 1976, quando lasciò Epoca: faceva un settimanale destinato, purtroppo, a dissolversi.
Su Repubblica ha vissuto i suoi grandi momenti.
La differenza tra lui e gli altri giornalisti è che in genere questi ultimi si vanno annacquando nel tempo, lui invece è andato intensificandosi, ha affinato la sua bravura al punto di diventare irripetibile.
Non so dire altro, Gianni, ti saluto.
Tony Damascelli
Il mio ricordo purtroppo ha i fili scoperti: ci siamo sentiti ieri, quando mi ha raccontato quello che gli stava capitando dopo la Tac.
I medici hanno detto che il suo cuore aveva già dato segnali fragili. La sua testa no.
Abbiamo scherzato su La Fontaine, abbiamo giocato con le parole, come sempre.
Brera aveva un erede, Gianni.
Gianni non lascia eredi, in un giornalismo purtroppo intossicato da internet, spesso superficiale, anche cattivo, che ha perso di vista il rispetto negli altri.
Era figlio di un carabiniere, non a caso conservava un rigore unico nel comportamento e nel suo lessico.
Forse se n’è andato nel momento giusto, perché sarebbe stato difficile anche per lui narrare quello che sta accadendo.
Se n’è andato a Senigallia durante la convalescenza per respirare il mare e l’aria dell’Adriatico. C’era anche Paola, sua moglie, ma lui era in isolamento.
Lo ringrazio per la fetta di vita che m’ha regalato.
Alessandro Vocalelli
L’ho conosciuto appena, l’ho sentito qualche volta per telefono, ma sono stato soprattutto un suo lettore, è stato un grandissimo tra i giornalisti e tolgo la parola “sportivi”, perché i giornalisti sono una cosa sola.
Quando ho lasciato la direzione del Corriere dello Sport, cominciando a fare l’editorialista, a scrivere per Repubblica, c’è stato qualche timore da parte di qualcuno che potessi andare ad occupare qualche spazio già consolidato. Mura no, Mura mi ha accolto straordinariamente bene.
Chiaramente lui non aveva nulla da temere, viste le grandi doti narrative, era su un altro piano rispetto a tutti, ma era anche una persona talmente disponibile e giusta che apprezzava e accoglieva chi poteva dare una mano in più.
Anche dal punto di vista umano Gianni Mura è stato un gigante.
Stefano Agresti
Io e Gianni Mura eravamo generazioni diverse, quindi avevamo frequentazioni differenti.
Mi è capitato in alcune circostanze di trovarmi di fronte a lui, nello stesso tavolo.
La sua presenza era estremamente carismatica, soprattutto per me che ero uno degli ultimi arrivati e devo dire che ho sempre notato una grandissima umanità da parte sua, non faceva pesare il fatto che già da allora era un mito per chi come me si avvicinava a quel tipo di avvenimenti, la Nazionale, le grandi partite di Coppa.
Ho il ricordo della sua curiosità per le cose più disparate, non solo per il calcio. Io ero un appassionato di ciclismo e il suo modo di raccontarlo per me era assolutamente fantastico. Teniamo presente che il ciclismo a differenza di altri sport ha bisogno di essere narrato e lui lo faceva in un modo assolutamente unico.
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