“Più potente della paura per l’inumana vita della prigione è la rabbia per le terribili condizioni nelle quali il mio popolo è soggetto fuori dalle prigioni“.
Così Nelson Mandela descriveva il razzismo nella lontana epoca dell’apartheid.
Un’epoca lontana per tempo trascorso, ma per certi versi vicina a quella attuale.
La tendenza a mettere un’etichetta addosso a persone, classi sociali, ideali è sempre stata tristemente presente nella storia e non manca oggi, all’epoca del coronavirus che non fa che acuirne gli effetti.
Secondo la definizione della Treccani, il razzismo è la “Concezione fondata sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre razze. È alla base di una prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la purezza e il predominio della razza superiore“.
Il concetto di razza decade però in tempi molto recenti: dal punto di vista scientifico non sussiste infatti l’esistenza di una razza superiore, come conferma anche la Treccani nella suddetta definizione: “I gruppi umani mutano e interagiscono continuamente, tanto che la moderna genetica di popolazioni si focalizza su modelli di distribuzione di geni specifici anziché su categorie razziali“.
Il razzismo continua comunque ad abbattersi verso persone, idee e categorie sociali, come spiega Valerio Malvezzi nel suo video odierno.
Potremmo dedurre in altri termini che, più che in natura, la razza, il razzismo e le relative conseguenze da prendere per la propria affermazione sociale si trovano nella mente dell’uomo.
Il razzismo al tempo del coronavirus: clicca nel video per seguire la spiegazione del Prof. Valerio Malvezzi ⬇️
Malvezzi Quotidiani, comprendere l’Economia Umanistica con Valerio Malvezzi
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