Sono giornate convulse per il calcio italiano. A causa dell’emergenza sanitaria da Coronavirus, che ha provocato lo stop a qualsiasi competizione, le istituzioni del settore calcistico ragionano sulle modalità per affrontare lo stato d’eccezione.
Da settimane è in corso una trattativa serrata tra Lega Serie A e AIC – Associazione Calciatori Italiani – sul taglio ai compensi di giocatori, allenatori e tesserati. Al termine della recente Assemblea la Lega ha previsto una riduzione di un terzo della retribuzione annua lorda se non si riprenderà l’attività, e di un sesto se si completerà la stagione.
Dura la reazione del sindacato dei calciatori che accusa di porre sempre e soltanto gli atleti sul banco degli imputati. Al momento solo una fitta nebbia avvolge le sorti dello sport nazionale per eccellenza. Molteplici gli interrogativi su quello che accadrá.
Alcune risposte le abbiamo trovate dall’ Avv. Umberto Calcagno, vicepresidente AIC – Assocalciatori, intervenuto ai microfoni della trasmissione ‘Radio Radio Lo Sport’.
Gli atleti come capro espiatorio
“Il fatto che i calciatori siano gli unici a subire le conseguenze dell’emergenza in corso é risaputo. Ormai fa parte del gioco. Da tempo prosegue questa narrazione secondo la quale gli atleti siano i soli responsabili delle problematiche che affliggono il nostro settore.
La veritá é che dalla Lega non é arrivata alcuna proposta per affrontare in maniera degna la situazione. Questo perché la Lega ha solo una funzione d’indirizzo politico. Ne deriva che avanzare una proposta come quella pervenuta nei giorni scorsi serve solo per distogliere l’opinione pubblica dai veri problemi del nostro calcio. E noi come AIC ci rifiutiamo di rispondere allo spot pubblicitario messo in onda dalla Lega”.
Un fondo solidaristico in soccorso dei dilettanti
Sul fronte del calcio minore, cosa avete allo studio per evitare il totale collasso del settore dilettantistico?
“Noi da tre settimane stiamo chiedendo l’istituzione di un fondo solidaristico interno al nostro sistema che venga creato grazie ad alcune rinunce dei colleghi di piú alto livello. Va evidenziato che, sin da subito, gli atleti di piú alto livello abbiano teso la mano ai loro corrispettivi. Quindi, da parte nostra, la disponibilitá c’é sempre stata e non dubito che ci si metta d’accordo anche per il prosieguo.
Non dimentichiamo che piú del 50% dei calciatori professionisti ha una soglia di reddito inferiore ai 50mila euro lordi, 2.500 euro netti alla fine di ogni mese. Addirittura esiste una considerevole fascia di tesserati che guadagna il minimo federale, cifra intorno ai 1500 euro mensili. In Serie C il numero di calciatori che vivono questa situazione ammonta a circa 2000. In tal senso purtroppo ancora non abbiamo avuto riscontri. Viceversa, due giorni fa siamo riusciti ad inserire questa fetta dei nostri atleti tra coloro che percepiranno il contributo di 600 euro, previsto in un primo momento soltanto per i collaboratori delle societá dilettantistiche. Per noi, deve essere intenso come punto di partenza”.
Il lavoro silenzioso dell’AIC
“C’é solo una parte giuridicamente rilevante del loro comunicato: l’ultima frase. Ossia che tutte le società hanno manifestato la volontà di trattare con i propri giocatori. Ed è la stesso punto messo a fuoco dai nostri atleti. Noi stiamo facendo un lavoro silenzioso, perché non abbiamo bisogno di andare sui giornali, squadra per squadra e giocatore per giocatore. Un lavoro che diventa prezioso alla luce del fatto che non tutte le squadre possono permettersi il modello applicato dalla Juventus, che ha 25 giocatori con contratti pluriennali.
Altre societá, che hanno tra i 10 e i 12 calciatori sotto queste tipologie di contratto, devono impostare la trattativa in una maniera oggettivamente differente. Ed é qui che entriamo in gioco noi. Abbiamo giá tenuto una decina di incontri con i rappresentanti della Lega Serie A ed il loro presupposto (non nostro) é stato che non hanno un mandato per trattare sul taglio degli stipendi”.
Gli sprechi dei piú ricchi
Non si ha la sensazione che le realtá piú ricche del nostro calcio abbiano finora gestito le proprie risorse in maniera spregiudicata?
“Essendo in un settore privatistico bisogna partire dal presupposto che i presidenti sono liberi di spendere le cifre che fatturano nel modo che più desiderano. Certamente è un dato di fatto che rispetto agli altri Paesi spendiamo le nostre risorse in modalità differenti.
Le stesse che oggi ci penalizzano. Sopra tutte, vi è la gestione economica all’interno della Serie A. Ad esempio siamo meno patrimonializzati rispetto ad altre realtà. Abbiamo un problema cronico sugli stadi. E se non mettiamo urgenetemente una pezza a queste problematiche la prossima coseguenza sará il fallimento del settore calcistico di base.
Atleti-aziende e sindacato calciatori
Ormai i calciatori al vertice della piramide calcistica hanno acquisito un potere tale che sorgono i dubbi sulla necessitá di un sindacato a loro tutela. Tra retribuzione, diritti d’immagine, sponsor, partecipazioni e collaborazioni esterne non ritiene che bisogna interrogarsi se ancora conviene rappresentare dei veri e propri atleti-aziende?
“Lo é sempre stato. L’assocalciatori é nata nel ’68 grazie al contributo dei calciatori della Nazionale. Dalla nascita la nostra forza é sempre stata rappresentare tutti e includere le diverse categorie che compongono l’associazione. É chiaro che le esigenze siano diverse, il 99% del nostro lavoro si concentra sugli interessi dei calciatori delle serie minori. Oggi la vergogna non é la trattazione con i calciatori per le rinunce dei loro stipendi, ma sta nel focalizzare soltanto su questa tematica, in maniera faziosa, i problemi del nostro settore”.
Scenari futuri
“Non posso immaginare uno scenario come quello designato dalla Lega negli ultimi giorni. All’interno di ogni singola squadra ci potrebbe essere qualche giocatore che non acceti le linee guida che sono state fornite. Dubito che si possa arrivare ad un accordo tramite l’attuale impostazione.
In merito alla ripresa dell’attivitá agonistica seguiamo la linea tracciata dai medici sportivi. Nel momento in cui il governo, in particolare il ministro dello sport Spadafora, ci autorizzerà lo dovremo fare in massima sicurezza”.
Ipotesi taglio alle ferie
E se, come ipotizzato, si decidesse di giocare anche a luglio e agosto i calciatori sarebbero disposti a rinunciare al loro periodo di riposo?
“Credo che in una situazione di questo tipo le ferie siano gli ultimi dei problemi. Se poi ci riferiamo ai top player sono anche abituati 3 anni su 4 ad avere ferie molto compresse in conseguenza degli impegni con le nazionali che seguono la fine delle competizioni per club”.
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