Quando si parlava di lui come attore, soprattutto pensando alle fortunatissime interpretazioni dei tanti “Spaghetti western” di alto livello, quelli di Sergio Leone per intenderci, il suo modo di recitare veniva spesso sintetizzato con una battuta, piuttosto irriguardosa peraltro: – Clint Eastwood ha due espressioni: una col cappello, una senza cappello. -Per paradosso, era un gran bel complimento, ma lo so sarebbe capito un po’ di tempo dopo: gli spigoli e le rughe d’espressione del suo volto così arcigno, le linee verticali che scendono dallo sguardo che traduce, ancora oggi, durezza e decisione, lui li ha messi al servizio dei suoi personaggi come meglio non avrebbe potuto. E pensare solo a Callaghan equivale a fargli un torto grande come una casa.
Già dal modo in cui sapeva “riempire” il copione con le sue interpretazioni, si poteva presumere che sarebbe diventato un grande regista. Ma ancora non potevamo sapere la qualità precipua della sua grandezza: saper raccontare storie straordinarie grazie alla gente normale. A tanti prototipi di americani elevati a potenza dalla macchina da presa, con i passaggi tortuosi dei loro destini e i loro profili caratteriali messi a nudo, sempre in bilico tra fragilità e quotidiani eroismi.
Noi, per quanto riguarda i nostri gusti, mettiamo sul podio “I ponti di Madison County”, con una Meryl Streep incantevole nel ruolo di una moglie frustrata che vive il suo grande, intenso e fugace amore con un forestiero di passaggio; poi “Million Dollar Baby”, dove la boxe è un pretesto per la discesa in un abisso esistenziale e infine “Gran Torino”, dove la questione dei conflitti razziali, dei preconcetti e del rispetto tra individui che sboccia anche nel retroterra meno adatto è affrontata senza alcuna ombra di buonismo e meno che mai di retorica.
Ma avete, abbiamo ampia scelta: il cinema di Clint Eastwood è un viaggio che tuttora prosegue, con la certezza che ci farà incontrare ancora gente come noi, che lui attraverso la macchina da presa saprà rendere indimenticabile.
Paolo Marcacci