Da due giorni circolano delle ipotesi ufficiose/ufficiali sulla riapertura dei teatri. Bella notizia, non c’è che dire. Certamente il trambusto mediatico delle ultime settimane (dopo turismo e Chiesa) è servito a svegliare chi sta sul ponte di comando.
Via via che passano le ore queste ipotesi prendono la forma di chiamate, messaggi, link e whatsapp e, nel momento in cui scrivo, nulla è ancora certo se non un rilancio dei media e bozze di documenti del famoso Comitato Tecnico Scientifico.
Al primo entusiasmo segue però la fredda analisi da imprenditore. E leggere di capienza ridotta è davvero una doccia gelata. Ce lo si aspettava, per carità, ma vederlo nero su bianco è brutto.
Non mi riferisco ovviamente all’evidente sollievo di veder ripartire l’attività teatrale, né alla bellezza di poter riappropriarsi delle proprie abitudini lavorative e di svago. Questo è palese e sono contento.
Mi concentro però su distanziamento e contingentamento del pubblico che in pratica comporteranno una netta minor affluenza con conseguente antieconomicitá dell’impresa.
Questo è un punto fondamentale perché, se è vero che intrattenimento e cultura sono momenti importanti per la formazione di una comunità sociale, è altrettanto vero ma non sempre chiaro che spesso sotto questi due macro concetti (intrattenimento e cultura appunto) ci sono delle aziende vere e proprie, che devono proseguire e progredire secondo i criteri dell’impresa privata che per definizione deve portare ad un guadagno, un reddito.
E allora diminuire la capienza è una buona strategia? Sì se l’obiettivo è continuare a dare contenuti culturali alle persone, al pubblico, nonostante la crisi sanitaria che ci vede coinvolti.
Ma la risposta è nettamente NO se lo si intende come momento di ripartenza per l’industria dello spettacolo dal vivo. Il motivo è molto semplice e lo capirebbe anche un bambino: meno posti, meno incassi, meno senso a portare avanti iniziative del genere. E non si può semplificare dicendo “meno persone = meno spese” oppure ” contenere i costi” perché lo spettacolo dal vivo è fatto da persone, non da prodotti fisici, sulle quali non si può limare più di tanto. Inoltre, minor capienza significa che occorrono più repliche dello stesso evento per soddisfare la stessa domanda, con un evidente aggravio dei costi fissi e variabili.
Insomma la riapertura dei teatri, alle condizioni che vengono comunicate, non equivale alla ripartenza dell’industria dello spettacolo dal vivo.
Si dirà che è giusto, bello, corretto, tornare a presentare spettacoli per il pubblico. Ed in astratto posso essere d’accordo. Ma a queste condizioni chi potrà farlo? E chi ne trarrà vantaggio?
Gianluca Cassandra