Modello tedesco? No grazie. La Serie A pensa “positivo” ma per ripartire ha bisogno del sospirato sì del Comitato Tecnico Scientifico ad un protocollo ritenuto, in prima facie, fortemente lacunoso.
Uno dei nodi da sciogliere (oltre alla responsabilità dei medici sportivi), secondo le osservazioni del CTS, attiene alla previsione (ovviamente di parte) della FIGC di evitare incidenti di percorso, prevedendo che, in caso di nuova positività al Covid 19, sia solo il contagiato ad andare in isolamento, proprio sulla scia di quanto previsto dal modello tedesco.
Premesso che anche quest’ultimo ha dimostrato, sin da subito, la propria inadeguatezza – considerando che nel caso della doppia positività dei giocatori della Dinamo Dresda, alla fine è stata tutta la squadra, a seguito dell’intervento delle autorità locali, ad andare in quarantena – ciò che non convince della versione 1.0 della bozza di protocollo della FIGC è il distinguo rispetto a quanto avviene già nel resto delle aziende italiane.
Quello che, infatti, sembra passare sotto traccia e addirittura finire nel dimenticatoio dei dibattiti politici / sportivi degli ultimi giorni, è il fatto che un modello italiano di protocollo esiste già.
Lo scorso 14 marzo, infatti, Governo e sindacati hanno firmato un “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”.
Tale documento, al punto 11, in materia di “Gestione di una persona sintomatica in azienda”, prevede espressamente che in caso di positività “l’azienda collabora con le Autorità sanitarie per la definizione degli eventuali contatti stretti di una persona presente in azienda che sia stata riscontrata positiva al tampone COVID-19. Ciò al fine di permettere alle autorità di applicare le necessarie e opportune misure di quarantena”.
In buona sostanza, pertanto, quello che pretende il CTS (ed è quanto stato ribadito anche dall’AIC) non pare rappresentare un accanimento terapeutico nei confronti del mondo del calcio ma semplicemente l’applicazione del modello italiano già in vigore in tutti gli altri ambienti di lavoro.
Con l’unica differenza legata agli effetti nefasti che tale applicazione analogica produrrebbe tra i professionisti del pallone: se resta a casa un reparto, l’azienda continua a produrre, seppur con una diminuzione della forza lavoro; se viene messa in quarantena un’intera squadra, la Serie A rischia di chiudere prima ancora di ricominciare.
Mission impossible? Non del tutto, perché analizzando più attentamente il testo del protocollo applicato negli altri ambienti di lavoro, spunta fuori la vera arma con cui la partita può, ancora, essere vinta: la definizione e la conseguente interpretazione di contatti stretti.
Un’interpretazione più restrittiva per non mandare in quarantena l’intera squadra sulla carta è possibile; nella sostanza e nella pratica di assai più complessa attuazione.
Matteo Raimondi
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