Italia-Germania 4-3: tutta d’un fiato. Il 17 giugno 1970 è la data della partita del secolo. Quella semifinale mondiale, nella cornice dello stadio Azteca di Città del Messico, che portò l’intero stivale in un visibilio indimenticabile.
Il poker servito da Gianni Rivera decretò l’atto conclusivo di quei folli tempi supplementari, quando nell’arco dei novanta minuti si erano viste soltanto le marcature del momentaneo vantaggio di Boninsegna e del pareggio tedesco ad opera di Schnellinger. Poi il panico sportivo. La tripletta di uno scatenato Muller e le reti azzurre firmate da Burgnich, Riva e appunto da Rivera.
Nel pomeriggio di ‘Radio Radio Lo Sport’ due grandi protagonisti di quella spedizione italiana, guidata dal ct Valcareggi, hanno rievocato il match storico e l’epilogo amaro della finale contro il Brasile. Ai nostri microfoni sono intervenuti Angelo Domenghini e Giancarlo ‘Picchio’ De Sisti.
Le memorie ancora freschissime di Angelo Domenghini
“Di straordinario in quella partita ci sono stati i tempi supplementari. La partita nei novanta minuti doveva già finire sull’1-0. L’arbitro poi ha fatto tre minuti di recupero e Schnellinger, su un fallo laterale, ci ha punito. Poi ci sono stati i cosiddetti tempi supplementari con trenta minuti di emozioni. Questo è il bello del calcio. Non è successo solo a me. E’ successo all’Italia e abbiamo coinvolto tutto il paese.
Quella notte, ma in tutta la mia carriera, ho fatto parecchi chilometri per il campo.
Ci abbiamo creduto fino alla fine però, quando abbiamo subito il 3-3, è stato un dramma. Abbiamo subito psicologicamente la Germania, una squadra che non molla mai e non ti regala mai niente che ci ha dato filo da torcere. Poi con la palla al centro siamo ripartiti e con cinque o sei passaggi siamo arrivati a Boninsegna, che ha fatto fuori il suo avversario e ha messo un pallone all’indietro a Rivera che l’ha buttata dentro. Forse lì ci abbiamo creduto e ci siamo detti: ‘Questa è la volta buona. Adesso vinciamo noi’.
I supplementari hanno pesato sicuramente in vista della finale contro il Brasile. Però sai, sei ad un campionato del mondo vinci e poi vai a fare la finale col Brasile, penso che basta un giorno per recuperare. Io ricordo benissimo la partita con il Brasile. Fino al ’65 del secondo tempo eravamo 1-1. Se c’era una squadra che meritava di raddoppiare era proprio l’Italia perché abbiamo fatto almeno tre o quattro volte contropiede e al Brasile è andata si lusso. Poi purtroppo, nel calcio succede, loro fanno goal e vanno sul 2-1 dopo due-tre minuti fanno il 3-1. Lì, e questa è una cosa non tanto bella da ricordare, si è visto il vero Brasile. Hanno iniziato a fare la ‘melina’ e a prenderci in giro.
A Città del Messico non c’era soltanto Valcareggi a fare la formazione, ma erano in cinque o sei tutti dirigenti. C’era Stacchi, Mandelli, il nostro Presidente e lì facevano la formazione decidendo di non far giocare Rivera”.
Il garbo e la lucidità di Giancarlo De Sisti
“Nella Nazionale del 1970 c’erano quattro dell’Inter, quattro del Cagliari, io ero un asino sciolto insieme al povero Ugo Ferrante. Poi c’era Rivera con Rosato del Milan. Ognuno rappresentava la sua casacca però lì c’era una unità di intenti discreta.
Poi alla fine, quando le circostanze lo chiedevano, ognuno ha tirato su le maniche sudando, rincorrendo, parlando, stringendo i denti e sacrificandosi. Rivera era pallone d’oro, credo che nel ’69 il Milan sia diventato campione del mondo per club, ed è chiaro che vederlo fuori squadra faceva impressione. Ma la storia non è così. Valcareggi vedeva una squadra fatta di equilibrio. Ma quando Domenghini correva per quattro persone, se lo sostituiva chi giocava al suo posto?
Il Brasile giocava con cinque giocatori fenomenali, tutti numeri 10, in cui il migliore era Pelè. Ma il Brasile ha un’altra filosofia. Se mi chiedete perché Rivera giocò gli ultimi minuti della finale, questo non lo so. Adesso non si può più chiedere a Valcareggi. Se lui riteneva che Mazzola giocava il primo tempo e aiutava il centrocampo come già fatto al campionato europeo del ’68, poi nel secondo sarebbe entrata la genialità di Rivera e apriva magari le partite. Oppure alternativamente, come pensa Rivera stesso, fu un discorso politico-sportivo questo io non lo so. Io non mi inserivo nelle chiacchiere alla ricerca della verità sulla formazione.
Io cercavo di fare il mio dovere, chiacchieravo con tutti e basta. Prendo per buono quello che dice Angelo Domenghini ma a questo punto è inutile parlare ancora di Rivera”.
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