Diciannove anni e trenta vigliacchi

Il sole, a Milano, era pigro come il servizio d’ordine, quella mattina del 4 giugno del 1989. Il giubbetto, addosso, pesava lo stesso però, in quel giorno di quasi estate, buono già per Fregene, più che per San Siro. Ma il giubbetto serviva soprattutto a nascondere la sciarpa, soprattutto una volta scesi dal 24, a Piazzale Axum, davanti all’ingresso del settore ospiti. La sciarpa la puoi nascondere, l’accento molto meno e bastano un paio di domande a farti diventare un nemico, altro che ospite. Se ti chiedono una sigaretta, magari non ce la fanno a capire, quindi ti chiedono anche che ore sono e lì Roma ti esce dalle sillabe, dalle vocali, da un paio di consonanti. Roma e la Roma, a cui dedichi tanti dei battiti del tuo cuore giovane, un po’ più delicato della media. Sono in trenta, e non vedono l’ora di calpestarlo, quel cuore. Chi dovrebbe proteggerti arriva spesso troppo tardi, chi ti calpesta ha in tasca la tessera di chi ti protegge, almeno in un caso. Ti rialzi dolorante, ti rialzi e rassicuri, addirittura. Poi non capisci quanto male t’abbiano fatto i trenta vigliacchi. E non fai in tempo a renderti conto che per quello che ti hanno tolto nessuno pagherà, alla fine. Paga chi resta, col dolore più grande della sua stessa vita, pagano gli amici orfani, condividendo il dolore assieme ai colori che vi hanno sempre unito.

Si chiamava, e per i tifosi giallorossi si chiama, Antonio De Falchi: sventola ancora il suo viso che canta senza paura. Avrà per sempre diciannove anni.

Paolo Marcacci