Quando hanno fatto il loro ingresso in campo agli ordini del Signor Guida Roma e Udinese, per l’Olimpico vuoto ancora echeggiavano le parole della conferenza prepartita di Paulo Fonseca. Proclami forse eccessivi e un ulteriore peso psicologico, come se servisse, su un gruppo di giocatori complessivamente fragile, disorientato da troppe voci e situazioni.
L’Udinese di Gotti, nel frattempo, ha lasciato una serie di buone impressioni e troppi punti, tra casa e trasferta, dalla ripresa delle ostilità.
Formazione sorprendente, quella schierata dal portoghese, perlomeno per tre pedine: Under (non è in condizione); Perotti; Fazio. Provocazione? Rischio ponderato? Messaggio al gruppo? Come al solito, il bilancio lo fornisce il risultato. Oltre all’efficacia del gioco.
Primo tempo che definiremmo malinconico: per il ritmo monocorde, per la facilità con cui l’Udinese occupa la trequarti, per la differenza evidente di rapidità tra i giocatori di Gotti e quelli di Fonseca. Il vantaggio firmato Lasagna è indicativo di quanto sia facile portare fuori posizione gli esterni della Roma, a cominciare da Bruno Peres. Poi arriva il fallo, plateale, durissimo ma – speriamo – non del tutto intenzionale di Perotti. Roma in dieci, ammesso che sia mai stata in dieci. Non è soltanto un’amara battuta.
Finisce il primo tempo con Mirante che è tra i migliori, con Carles Peres e Under. Che non era in condizione ventiquattr’ore fa.
Secondo tempo: cala la lucidità offensiva dell’Udinese senza Lasagna; ancora più confusionaria sembra la Roma, per la quale cominciano gli avvicendamenti, con Mkhitaryan al posto di Under, senza che cambi l’inerzia della partita. Avvilente il tono agonistico complessivo della Roma; ancor più avvilente la totale mancanza di identità tattica che la squadra palesa soprattutto nel secondo tempo.
Dopo il raddoppio dell’Udinese sembra di udire i fischi di frustrazione che non possono esserci.
Il bilancio, per sintesi, è uno solo: è la Roma la principale avversaria di se stessa.
Paolo Marcacci
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