Il Dott. Luigi Cavanna è il Primario di Oncoematologia all’ospedale di Piacenza che si è distinto insieme al suo team durante periodo di maggiore emergenza da coronavirus grazie al suo metodo di intervento. La sua procedura non ha soltanto salvato moltissime vite, ma è persino diventata un modello in tutto il mondo. La rivista Time, lo scorso aprile, gli ha dedicato la copertina, elogiandone l’operato e la prontezza.
Ma in cosa consiste questo metodo? Perché non è stato adottato in tutta Italia?
A distanza di mesi, e con l’allarmismo da seconda ondata alle porte, Stefano Molinari e Fabio Duranti lo hanno intervistato. Ecco cosa ha detto il Dott. Cavanna in diretta.
IL COVID SI SCONFIGGE A CASA ► Dott. Cavanna: “Con il mio metodo non è morto nessuno”
“Nella prima settimana di marzo ci siamo resi conto che erano tanti i malati che arrivavano al pronto soccorso quando ormai era troppo tardi perché i polmoni erano consumati. L’ospedale diventava il luogo di maggiore concentrazione di infetti che potevano trasmettere l’infezione. Da lì la decisione: partendo dal presupposto che il covid è comunque una malattia virale, che non è una malattia improvvisa come può essere un infarto, da lì la scelta di andare a domicilio non soltanto per la visita, ma muniti di equipaggiamento. Lasciavamo i farmaci e in questo modo abbiamo cominciato a curare a casa molte persone. Anziché la strategia di aumentare i posti in rianimazione abbiamo detto: ‘cerchiamo di far arrivare meno malati in rianimazione’ partendo dal presupposto che il covid è una malattia virale, che a volte può diventare molto grave, ma se curata precocemente la prognosi cambia in modo favorevole.
Noi abbiamo detto: ma questi pazienti che arrivano al pronto soccorso non è che si ammalano dall’oggi al domani. Dall’oggi al domani possono peggiorare, ma c’è una storia. È da lì che abbiamo avuto questa inversione di tendenza. Bisogna curare i pazienti precocemente.
Abbiamo toccato con mano: qui sul nostro territorio sono partite cinque unità mobili, abbiamo visitato circa 3000 malati, io personalmente ne ho visti circa 300, di questi 300 non è morto nessuno. Una minima parte è stata ricoverata, ma chi è stato ricoverato poi è tornato a casa.
Se adesso sappiamo come trattare la bestia? Secondo me sì, abbiamo di fatto molte più conoscenze, abbiamo affinato le metodiche anche di diagnostica e credo che la gente, gli italiani, io vedo che capiscono e fanno ciò che viene detto. L’importante è parlare in modo omogeneo, non dare informazioni contrapposte”.
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