La boxe, quello sport al quale tutti gli altri vorrebbero assomigliare, per usare le parole di George Foreman, uno di quei campioni che hanno conosciuto gli abissi dell’abbattimento e l’esaltazione per la massima gloria conquistata. Una delle storie che racconta Paolo Marcacci nel libro: “L’arbitro contava un blues – Storie di pugni, destini e titoli mondiali”, in uscita il 31 agosto. Perché il blues, al pari della boxe, è un canto di anime.
Ed è così che l’autore ha voluto narrare tutte le vite trascorse dentro e fuori dal quadrato, in un libro impreziosito dalla prefazione di Marco Lollobrigida: la fame, quella autentica è quella per l’affermazione di sé; il riscatto verso un’esistenza iniziata in salita; l’arrampicata verso il successo; le cadute dopo a precipizio dopo essere arrivati all’apice: tutto a suon di pugni, in una sequenza di parabole prima esistenziali, poi sportive.
Le gesta, le cadute, i prodigiosi ritorni di una galleria di pugili, nei chiaroscuri dell’esistenza e delle fortune sportive: i campioni leggendari, o quelli che non riuscirono a diventarlo pur avendone la stoffa; i match che nessuno ha mai dimenticato, o quelli più discussi; il ritorno nei bassifondi di chi non seppe gestire la propria grandezza; i soldi sperperati, le donne, la bottiglia; gli amici che se ne vanno dopo il gioco di gambe e la prontezza di riflessi; il cinismo dei manager, la fatica disumana per dimostrare di essere il migliore, almeno per una sera.
Sempre ricordando che il pugile al tappeto è l’uomo più solo al mondo, come lo scrittore davanti alla pagina bianca.
Paolo Marcacci