Caro Presidente e non Dear Mr President, innanzitutto, perché è lei a dover “imparare” cosa sia la Roma, non il contrario.
Quello è stato il primo errore di chi l’ha preceduta; le auguriamo innanzitutto, al di là e molto al di sopra dei conti e delle varie situazioni gestionali che eredita, di saperci fare col più importante dei patrimoni che adesso le toccherà gestire: i sentimenti di un popolo, perché due milioni abbondanti di tifosi sono un popolo.
Un popolo particolare: portato per sua natura agli slanci e ai sogni in grande, spesso sgretolati dalla realtà; ma, negli ultimi anni, frustrato anche nella manifestazione di questo che era un suo naturale e istintivo, per quanto esagerato modo di essere. Il tifoso romanista negli ultimi nove anni aveva progressivamente smesso di sognare, negandosi anche il più effimero dei lussi.
E alla categoria dei sogni, negli ultimi tempi, avevano cominciato ad appartenere anche le possibilità di permanenza dei migliori giocatori, accanto alla possibilità che ne arrivassero di nuovi tra i forti e prestigiosi. Questo è stato lo stato d’animo più comune ma più innaturale, per il dna romanista: la disillusione.
Il suo primo e più proficuo investimento, da questo punto di vista, dovrebbe essere proprio questo: ripristinare lo slancio delle aspettative, con l’augurio ovvio che si tramutino in reali, ragionevoli ambizioni, con il rispetto in questo caso realistico dei tempi; anzi, delle tempistiche, con tutti i tecnicismi che questo comporta. Perché un primo spicchio di questo ideale scudetto Lei lo avrà già portato a casa quando avrà fatto sentire i tifosi della Roma liberi nel potersi considerare sempre meno commercialisti, di conseguenza sempre più sognatori: quello che erano sempre stati, quello che vorrebbero tornare a essere, stavolta con la base sempre più solida dei mezzi che Lei, presidente, metterà a disposizione.
Le auguriamo allora, come dicevamo, di avere tutta la curiosità del mondo per farsi aiutare a comprendere cosa sia la Roma da chi da sempre la vive; senza mai pretendere di insegnare a nessuno il modo di viverla, di pensarla, di ragionare in merito a questa che non è soltanto una squadra e, addirittura, di spendere i propri soldi in nome di Lei.
Soltanto vivendola, il più vicino possibile, non semplicemente gestendola per interposte persone, Lei nell’arco di un mese potrà capire che la Roma è davvero al tempo stesso madre, moglie, amante per un popolo di fedeli che potranno anche spendere più soldi possibile, per amore, ma non saranno mai semplicemente clienti.
Buon lavoro, Presidente Friedkin; non sarà facile ma potrebbe essere la cosa più bella da ricordare, tra tutte quelle grandiose che ha già realizzato.
Paolo Marcacci