“La Juve ha 70 milioni di rosso, senza Covid avrebbe avuto guai col fair play finanziario” ► Ecco chi sta bene e chi sta male in Serie A

Arthur, McKennie, Tonali, Dzeko, forse Suarez: sono questi i nomi del calciomercato più anomalo degli ultimi anni. Potrebbe essere anche quello più sottotono, per una situazione nera delle finanze dei piccoli e grandi club italiani, aggravata dalla pandemia.

Abbiamo intervistato Marco Bellinazzo, del Sole 24 Ore, per capire meglio il panorama economico che si staglia dietro le mosse e i sogni di questa sessione di mercato, con lo sguardo rivolto anche al futuro della nostra Serie A.

Siamo nel periodo delle spese del calciomercato, ma quali sono le condizioni economiche del calcio italiano?

“Il calciomercato è un periodo di sogni, ma nel periodo dei sogni si approvano anche i bilanci dell’anno precedente, una situazione complicata per chi spende più di quanto incassa. Questo è un problema del calcio italiano. Già il calcio non stava bene e il covid ci ha messo il suo. 

Anche questa annata sarà difficile, per ogni giornata con gli stadi vuoti le squadre perderanno circa 8 milioni. Va affrontato il tema economico, altrimenti si rischia di fare altri danni al sistema. Per conquistare competitività, Juve, Inter e la nuova Roma dovranno vedersela con bilanci stagnanti. Peccato perché nelle ultime due stagioni qualcosa di migliorativo si stava vedendo. Vedremo come si ridurrà questo impatto della pandemia”.

Qual è la situazione in casa Juve?

La Juve se non ci fosse stato il covid sarebbe finita nei guai col fair play finanziario, parliamo di un rosso da 70 milioni ma fatto con tante plusvalenze. Con la sospensione del fair play per il covid nel 2020 il problema si rimanda. Era preventivato con l’operazione Ronaldo, ma il secondo anno doveva essere l’anno per raccogliere i frutti economici e anche sportivi in Europa, ma poi è arrivato il covid come cigno nero per la Juve che deve abbattere il monte ingaggi e fare un mercato oculato. Con un incasso strutturale sotto i 500 milioni, poco rispetto alle grandi come Real e Manchester che vanno sui 700/800 milioni di fatturato.

Quali società sono stabili e chi rischia?

L’Inter di Suning ha un fatturato sui 350 milioni, col grande tema di non aumentare gli ingaggi. Dietro, il calcio italiano sta messo male, avrebbe bisogno di tanti club con un fatturato strutturale cioè senza le plusvalenze intorno ai 300 milioni ma Milan, Roma e Napoli sono sotto i 200. E per competere devono spingere sugli ingaggi che si mangiano i ricavi strutturali e quando manchi qualificazioni o non fai plusvalenze rischi di andare sotto. 

Il Napoli in questo panorama sta meglio per un equilibrio tra entrate e uscite, l’Atalanta sta molto bene, ma senza le plusvalenze viaggia sotto i 100 milioni di fatturato, un po’ come la Lazio o il Torino. Pensate che in Premier l’ultima squadra prende 100 milioni solo dai diritti tv. Questa differenza si è acuita negli ultimi 10 anni e molti non l’hanno voluta vedere. 

Ci sono problemi a Genoa, stanno sul filo. Quelle più stabili sono: la Lazio di Lotito che non avendo un gruppo come Suning deve necessariamente lavorare sull’equilibrio dei conti. Lotito è l’unico presidente in Italia che non ha tirato fuori un euro di tasca sua, che è comunque un merito. Anche il Torino sta bene, non ha debiti e si autofinanzia. Questi club sono senza debiti ma avanzano con scarsi investimenti, e se non li fai la stabilità può scivolare nella palude dove rimangono modelli di business superati”.

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