‘Mi chiamo Francesco Totti’. Il film sulla vita e sulla carriera della bandiera giallorossa per eccellenza. Il calciatore, l’idolo delle folle, ma soprattutto l’uomo.
Opera realizzata grazie alla sapiente guida di Alex Infascelli, regista pluripremiato con diversi titoli. Dal David di Donatello al Nastro d’argento, fino al Ciak d’oro.
Proprio lui ha raccontato aneddoti e curiosi retroscena sul film dedicato allo storico capitano romanista nel corso di ‘Radio Radio Lo Sport’
“A onor del vero è un lavoro che mi è stato proposto. Io nasco regista di cinema e poi sono diventato regista di documentari recentemente. Forse per questa ragione hanno pensato che io potessi essere la persona più adatta per raccontare la storia di un monumento come Francesco Totti. Ovviamente, da subito, ho capito che ci voleva un punto di vista nuovo su di lui. Il calciatore lo conosciamo, il mattatore ironico lo conosciamo, ma forse l’aspetto che mancava di più era un Francesco spirituale connesso con aspetti molto più profondi del suo mestiere. Un Francesco che ci raccontasse la sua relazione con Roma e con i tifosi romanisti”.
Vivere i ricordi del passato insieme al protagonista
“La cosa incredibile di questo film è proprio il fatto che, come noi andiamo a casa di qualcuno che ci apre una scatola di ricordi, fotografie, filmini e ci racconta quello che sta cacciando fuori, allo stesso modo noi viviamo l’emozione di guardare questi materiali inediti insieme a Francesco. Francesco li guarda con noi per la prima volta, e quindi reagisce sentimentalmente e li commenta. Noi siamo lì, accanto a lui, e viviamo con lui questa esperienza. Questa è la cosa particolare di questo film. Noi vediamo molto del calcio che conosciamo, magari come tifosi. Angelo Carosi ha seguito Francesco per 15 anni e, grazie alle immagini girate proprio da Carosi, io ho la possibilità di scendere in campo narrativamente ad un livello dell’erba e non più delle tribune. Questo aiuta a dare una unità di racconto all’altezza del racconto intimo”.
Il timore più grande nel raccontare questa storia?
“Il pericolo di commettere un errore per me era dietro l’angolo, ogni due secondi. Soprattutto l’errore poteva essere quello non tanto di essere imprecisi da un punto di vista nozionistico, tanto quello di tradire quella che è l’anima di Francesco. Soprattutto io sono stato attento a cercare di costruire come un sarto, di creare un vestito sul corpo, l’anima, la mente di Francesco che gli potesse stare a pennello”.
Il Totti bambino che ama il gioco come lettura di vita
“Fin da subito ho avuto la sensazione di essere entrato dalla porta giusta. Forse proprio perché io non sono un tifoso praticante, anche se sono di famiglia romanista nel cuore, l’ho visto subito come un essere umano e ho visto subito il bambino. Quindi il mio bambino ha fatto amicizia con il bambino Totti. Loro hanno cominciato a giocare immediatamente. Hanno iniziato a fare qualcosa, e quel qualcosa e questo meraviglioso film che Francesco mi ha permesso di fare. Francesco mi ha insegnato che il gioco è una cosa serissima. Il gioco è una chiave fondamentale della lettura della vita”.
L’antagonista Spalletti
“La prima volta che ci siamo visti Francesco mi ha detto: ‘Ma tu vuoi metterci pure Spalletti nel film?’.
Io gli ho risposto: ‘Ma Spalletti è fondamentale, è l’antagonista necessario all’eroe’. Per me è l’antagonista, perché non ci sono i cattivi”.
Un film profondo, genuino e a tratti commovente
“Abbiamo visto il film insieme solo a giugno. Purtroppo siamo stati chiusi tutti in casa per il lockdown. Quindi appena hanno riaperto le gabbie sono andato a casa di Francesco. C’era Ilary, i ragazzi, i genitori di Ilary, la sorella e suo marito. Un gruppo ristretto, anche per evitare assembramenti. Alla fine del film, quando ancora scorrevano i titoli di coda, Francesco ha detto: ‘Ao, hai fatto piagne anche lei che non aveva pianto nemmeno all’addio’- riferendosi a Ilary.
Erano tutti commossi”.
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